Un Seminario si convoca quando si vuole sviluppare un’idea prima di assumere decisioni. La Segreteria regionale ha ritenuto necessario, ricevere a questo fine, un contributo importante alla discussione aperta sullo stato organizzativo della Cgil Abruzzo. Un seminario che non pretende, quindi, di assumere decisioni, ma con l’ambizione di approfondire argomenti, verificare orientamenti su questioni di vitale importanza per le CDLT e per le categorie, quindi per il sistema confederale abruzzese. L’antefatto che ci porta a questa giornata, è il mandato conferito alla Segreteria regionale, dal Comitato Direttivo che lo ha eletto, di ripensare alcune questioni organizzative, di strutturazione economica ed amministrativa e di insediamento. Una questione solo apparentemente burocratica ed organizzativa, tenuto conto che l’approfondimento è anche richiesto dalla qualità avanzata dei processi economici, politici o sociali, in atto nella nostra area regionale. Siamo, infatti, osservatori e protagonisti di dinamiche interessanti che riguardano le nostre città, i nostri territori ed il loro rapporto con l’Italia e l’Europa. Tutto ciò ci carica di una responsabilità nella battaglia politica, nella ricerca di una progettazione più forte che riguarda la qualità del contributo da dare ai temi del lavoro, dell’occupazione, delle politiche sociali, dei diritti del lavoro che cambia e delle trasformazioni che avvengono. Un contesto che richiede risposte alle trasformazioni in atto sui nostri territori. lì nostro obiettivo è quello, quindi, di verificare il nostro grado di rappresentanza del lavoro, di confermare le sue tutele, di estenderle, con i processi di cambiamento dello Stato Sociale e di consolidarle rafforzando la struttura contrattuale. Una volta riespressa, seppure per schemi ed approssimazioni, la volontà di perseguire la nostra missione, oggi, ci interroghiamo su di un aspetto, quello organizzativo ed in particolare, per effettuare una verifica del suo stato. Intanto mi pongo una prima domanda retorica: non siamo forse eccessivamente «datati», con una organizzazione che non regge una forbice aperta fra trasformazioni importanti, avvenute nel nostro operare quotidiano, e il modello organizzativo di una volta. Ci sono alcune novità che pretendono una qualche modifica.
SCELTA EUROPEA. Mi spiego. Il nostro ingresso in Europa1 evitando di soffermarmi sui significati, sui meriti nostri, rispetto a questo obiettivo e sul protagonismo del sindacato e sul contributo enorme che abbiamo dato, cosa ci chiede? Naturalmente lascio solo immaginare quale sarebbe stato lo scenario opposto, se l’Italia non ce l’avesse fatta, con una parte del paese che rinfacciava all’altra i ritardi e colpe, e come i rischi per l’unita stessa del paese si sarebbero gravemente accentuati. Abbiamo dato un colpo forte alle tentazioni, non ancora sopite, separatiste nel settembre 1997. L’Italia entrata in Europa è un risultato di grande significato. Occorre ora coniugare la qualità dello sviluppo alla tutela e all’espansione dei diritti, ma questo è un tema congressuale utile per una Cgil protagonista e capace di misurarsi sulla contrattazione e sui temi sociali in un contesto dove sono presenti altri protagonisti sindacali con una diversa esperienza categoria e confederalità. Ma insieme a questi problemi se ne affacciano altri, più vicini a quelli che quotidianamente affrontiamo, e che riguardano anche gli abruzzesi e il loro rapporto con l’Europa, il rapporto dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani con l’Europa. Intanto bisognerà vedere come attrezzare un Ufficio, che per comodità chiamerò Europeo, che non è il classico Ufficio Internazionale della CGIL, ma un luogo informativo-formativo per accrescere sempre più la cittadinanza europea. Ad esempio si è aperta una discussione sui diritti dei cittadini europei, dobbiamo decidere le modalità della nostra partecipazione.
UNA PIÙ FORTE CONFEDERAZIONE REGlONALE. Il tema dell’Europa, evoca altri temi che vanno dalla Programmazione negoziata alla concertazione, dal dibattito sviluppatosi attorno alle risorse europee e nazionali alla problematica dello sviluppo locale. Senza voler ripercorrere tutte le tappe dell’uscita dell’Abruzzo dall’Ob. I ed il suo ingresso nell’Ob. 2, trascurando i dettagli e i passaggi di questa fase politica, voglio solo sottolineare che nei mesi passati abbiamo concertato con la Giunta Regionale, insieme agli altri partner sociali, economici ed istituzionali centinaia di miliardi e che nei prossimi mesi, ad approvazione avvenuta del Docup, dobbiamo entrare nel dettaglio delle scelte e delle priorità, nell’uso delle risorse comunitarie, con i cosiddetti documenti di complemento. Ed insieme ad essi ci attende una lunga discussione sull’uso delle risorse previste per la Formazione (POR) e la loro destinazione funzionale alle scelte di sviluppo. Cito, per comodità, lnterreg, Equal, Leader, Urban etc., i nuovi strumenti sottoposti alla concertazione e quindi bisognosi di una nostra capacità di proposta e di elaborazione, che non sono improvvisabili e/o non possono essere il solo frutto di ricerche e risposte culturali personali. In buona sostanza sono necessari uomini, mezzi e strumenti per stare dentro la conoscenza dei processi che riguarderanno la qualità dello sviluppo e quindi del lavoro e della occupazione in Abruzzo. Se la struttura confederale regionale deve assumere una propria capacità di risposta alle problematiche sopra esposte, dobbiamo ragionare sul valore e sulla funzione delle categorie regionali perché si dice, da parte di molti, che è necessario precisare ruoli e temi della contrattazione. In Abruzzo è faticoso individuare il ruolo di contrattazione che una struttura regionale di categoria può svolgere, escluse naturalmente quelle che abbiamo già individuate grazie alla presenza di precise controparti e di riferimenti istituzionali in possesso anche di capacità contrattuali delegate. Bisognerà proseguire nella realizzazione di momenti di coordinamento regionale, che non vuoI dire tenere accentrate persone e risorse, come se si trattasse di un livello congressuale pieno. Dobbiamo dare concretezza a decisioni e a orientamenti già assunti. Abbiamo anche tentato di definire quali erano i pochi regionali di categoria che potevano avere una funzione. Magari facciamo un’altra verifica, però per mandare avanti le scelte liberare persone e risorse anche rispetto ai processi di rafforzamento della confederazione regionale e di provincializzazione, con i relativi processi di decentramento.
CAMERE DEL LAVORO TERRITORIALI. Scegliere di stare sul territorio vuol dire stare nel comune, stare nelle zone, contrattare con Comuni, Comunità Montana, ASL, Consorzi ed Enti di gestione e Provincia. Oggi apriamo formalmente (non a caso abbiamo invitato a partecipare, a questa nostra discussione, il compagno Ghezzi, per segnare i confini delle scelte, ma anche per concordare le frontiere da raggiungere) una discussione vera sui temi della organizzazione, che deve partire dalla centralità del territorio e dal reinsediamento delle CDLT.
Tutti sappiamo che il nostro impianto organizzativo è figlio dell’ultima discussione fatta a Montesilvano nel ’79. lì nostro impianto organizzativo è ancora quello deciso a Montesilvano. Non devono, naturalmente, sfuggirci i molti passaggi, le modifiche e gli aggiustamenti, però l’impianto è rimasto quello. Molti, in quesU giorni, dichiarano la loro insoddisfazione per il fatto che non si terrà più la Conferenza di Organizzazione, avendo deciso il Comitato Direttivo nazionale lo svolgimento del Congresso. Una decisione che, se non ben governata, potrebbe creare non pochi problemi, ma sinceramente non sono tra quelli che si strappano le vesti. Ma se ripensiamo a tutte le precedenti Conferenze di Organizzazione, svoltesi dopo quella di Montesilvano, possiamo fare tesoro di un’esperienza che ci insegna che molte volte le Conferenze di organizzazione si sono occupate di altro. Probabilmente, vista la discussione in atto, in preparazione del Congresso, non mi sbaglio di molto. Di tutto abbiamo bisogno, un po’ meno di una Conferenza, che non sia organizzativa, e che si arroghi diritti congressuali ragionando di scelte strategiche. Visto il contesto politico, considerate le ultime vicende elettorali e politiche, è molto facile il rischio di avventurarsi lungo percorsi di questo genere. Ma conferenza a parte e con la speranza che il congresso sia in grado di dare risposte strategiche ed idee alle quali dare gambe con un modello organizzativo più rispondente, dobbiamo interrogarci su come, anche in Abruzzo, le soluzioni organizzative, per le scelte che sono di nostra competenza, possono essere rapportate alle realtà nuove: Europa, struttura contrattuale, stato sociale, dinamica del mercato del lavoro. Rispondere a esigenze nuove senza contraddizioni insostenibili. Infatti, noi abbiamo aggiustato nel tempo il modello organizzativo, ma senza cambiare la distribuzione delle risorse che sono rimaste sostanzialmente inalterate nel tempo. Noi possiamo decidere tutte le forme più avanzate di rappresentanza dei lavoratori atipici, possiamo decidere, e lo abbiamo fatto in Abruzzo, tutte le forme di organizzazione della tutela dei lavoratori in materia di Tutela della salute e della prevenzione, di emersione del lavoro nero e di organizzazione dei lavoratori dell’artigianato, ma senza mettere a disposizione risorse1 uomini, strumenti, non andiamo lontano. Le analisi sulla situazione economica e di uso delle risorse, nella Cgil Abruzzo, devono farci riflettere e farci mettere mano decisamente a questi temi. Caso contrario possiamo scrivere ancora un gran bel documento con al centro, scusate il bisticcio, la centralità del territorio, senza fare un passo in avanti. Devono cambiare la distribuzione dei poteri, delle energie, delle risorse e dell’agibilità. L’analisi economica dell’uso delle risorse dimostra la rigidità di molte strutture, ed il loro permanere in uno stato di grande difficoltà che può portare ad una vera e propria crisi strutturale e di missione politica. Prendere coscienza di questi ritardi, può dare una spinta ad un coraggioso ripensamento della struttura della Cgil Abruzzo e delle sue articolazioni, a partire dalla centralità del territorio. Ancora di più questa scelta è resa necessaria dalla necessità di affrontare il rapporto tra occupazione, contrattazione e sviluppo locale, la dimensione sociale, la dimensione nuova del welfare locale, l’invecchiamento della popolazione in un Abruzzo che ha il tasso demografico che conosciamo. I processi di riforma istituzionale, hanno ricostruito un potere che a Montesilvano era considerato del tutto superato.Chi non ricorda il dibattito sui comprensori, quale territorio istituzionale sul quale misurare le nuove capacità di sviluppo urbanistico, economico e sociale? È avvenuto l’esatto contrario la Riforma Bassanini, il trasferimento e la riallocazione dei poteri, la distribuzione in basso delle deleghe, oltre ad individuare la nuova regione, riconsegna alle provincie tutto il potere di gestione e di programmazione dell’uso delle risorse dello sviluppo locale. Aggiungo:
1) La nostra azione affinché i PIT (Piani Integrati Territoriali), oggi contestata dalla nuova Giunta regionale, fossero caratterizzate dal trasferimento del massimo di gestione delle risorse alle provincie sono frutto di una scelta consapevole a favore delle occasioni di sviluppo locale;
2) La battaglia da noi vinta sul livello di omogeinizzazione dei livelli di assistenza sociale a cura delle provincie. Allora fummo sopportati, dall’Assessore alle Politiche sociali, oggi possiamo apprezzare con soddisfazione che la Legge Nazionale sull’Assistenza, di ormai prossima approvazione, assegna analogo e più forte ruolo alle provincie;
3) La Formazione, i trasporti, la riforma del Mercato del lavoro e gli uffici dell’impiego, l’artigianato, l’agricoltura etc, sono alcune delle nuove competenze delle provincie.
Insomma una sede forte di decisione dell’uso e dell’orientamento delle risorse che richiedono una forte presenza da parte nostra.
Ritengo, cosi come awiene per la confederazione regionale, che queste nuove competenze richiedono un livello di assunzione di responsabilità di un gruppo dirigente espresso da un livello congressuale a livello provinciale. Questo implica la modifica dello statuto CgiI Abruzzo, decisione che può essere assunta dal Comitato Direttivo regionale, e la relativa riunificazione dei comprensori di Avezzano, L’Aquila e Sulmona.
È bene però non avere fretta eccessiva, sarebbe un grave errore buttare, come si suo dire, il bambino con l’acqua sporca. Mi spiego: i comprensori di Avezzano, L’Aquila e Sulmona, non sono adeguati e predisposti a dare la risposta politica alle nuove esigenze di politica programmatica dello sviluppo locale, non possono avere singolarmente l’autorità, che può provenire solo da un investimento congressuale, di decidere su questioni di vitale importanza per le popolazioni, i lavoratori, i giovani ed i pensionati del territorio interessato. Tanto meno questa autorità può essere data da un coordinamento tra le strutture comprensoriali. Ad esempio: in caso di disaccordo su una qualsiasi questione, ed haimé ce ne sono parecchie, quale può essere il luogo per dirimere una questione importante sullo sviluppo locale? Certamente non può essere un semplice coordinamento, ma deve essere un livello congressuale con l’autorità conferita dalle regole statutarie. Dette queste cose però è necessario non commettere errori, a partire dal non dimenticare una storia che ha portato alla realizzazione di tre comprensori, e all’attaccamento che i lavoratori ed i pensionati hanno, ed hanno avuto, per loro strutture rappresentative di comuni e forti battaglie politiche e sindacali; dal considerare la crescita, seppure tra tante difficoltà, che le strutture hanno avuto in questi anni; dal non dimenticare i sacrifici, come testimoniano il valore degli immobili sedi delle Cgil, fatti per darsi strumenti incisivi per una più forte presenza. Voglio affermare, a chiare note, che non proporrò mai una riunificazione burocratica della Cgil della provincia de L’Aquila che non tenga conto di una storia, dell’attaccamento a motivi specifici di rappresentanza di quei territori ed ai passi avanti compiuti in quella realtà. Il nostro gruppo dirigente, per primo, deve comprendere che l’operazione politica proposta deve essere frutto di una scelta necessaria ed intelligente per tutelare meglio le esigenze di tutela collettiva ed individuale delle popolazioni interessate. Gli altri problemi, anche quelli relativi ad antiche storie, ad attriti tra i gruppi dirigenti aquilani, sulmontini e marsicani, anche sull’uso delle risorse, possono essere superate con trasparenza e chiarezza, ma anche con strumenti amministrativi governati unitariamente e controllati con rigore.
Camera del Lavoro Territoriale: dentro la Camera del Lavoro dobbiamo riconfermare la matrice verticale e la matrice orizzontale del sindacato, però ripensate in un equilibrio nuovo e dinamico tra di loro. La nuova dimensione dei servizi, che è in sinergia con entrambe, deve essere inserita in una pratica sindacale nuova, mentre quella parte del mondo del lavoro costituita dal lavoro diffuso, dal lavoro disperso, dal lavoro in nero, dal lavoro atipico, dalla piccolissima impresa deve trovare una strumentazione contrattuale e organizzativa. La CDLT deve impegnarsi ad intercettare il mondo del lavoro che non organizza presente sul territorio, non dimenticando, è bene dirlo, nella iniziativa rivendicativa la piccola e media impresa, quella grande, la pubblica amministrazione e i grandi servizi. Un terreno, questo, che richiede l’allargamento della strumentazione di rappresentanza e di partecipazione democratica, capace di rispondere alle diverse esigenze del lavoro che c’è, e su questo avere una capacita di coinvolgimento e partecipazione nuova, ampia ed efficace. La collocazione delle CDLT è strategica nel processo di reinsediamento, per rappresentare tutto il mondo del lavoro, i soggetti vecchi e nuovi, anche sperimentando sul territorio nuovi modelli organizzativi confederali. La recente scadenza elettorale per la elezione dei rappresentanti dei parasubordinati nel Fondo nazionale lnps, è stata una sfida per la CgiI, vinta sulla base degli esiti elettorali, ma sconfortante per il basso livello di partecipazione. A nulla sono valse le nostre attività di propaganda per far conoscere I nostri servizi e il programma. I risultati della partecipazione ci indicano una strada nuova per le CDLT, che devono ritrovare le loro funzioni originarie. Questi lavoratori stanno sul territorio, ed insieme alle categorie ed ai servizi devono essere intercettati e divenire questione centrale dei comitati degli iscritti e delle leghe dello Spi che sono il primo livello confederale da utilizzare con forza sul territorio. Questo significa che alcune agibilità e risorse devono andare in quella direzione con celerità e che bisogna concertare con categorie e Spi le risorse, comprese quelle dell’agibilità sindacale da mettere a disposizione dei comitati degli iscritti, per le attività confederali. La CDLT può aiutare a superare la debolezza della circolazione delle idee e dei progetti confederali, attraverso un contatto diretto con le Leghe e con i Comitati degli iscritti, strutture primarie della Cgil confederale, concertando con le categorie e con lo SPI delle iniziative specifiche, con assemblee annuali e riunioni programmate, sui temi confederali. Altrimenti continueremo a parlare di telelavoro, di lavoro nero, di lavoratori dell’artigianato, mantenendo in piedi una Cgil che ha moltissimi funzionari, ma che stanno quasi tutti a lavorare sui rappresentati consolidati, dimenticando e trascurando quei lavoratori che s’incontrano, magari nei reparti e negli uffici, ai quali bisognerà dedicare risorse, competenze, energie, che non possono venire che dal trasferimento del vecchio insediamento tradizionale. Le risorse oggi sono impegnate in funzione dell’esistente. Noi dobbiamo ragionare su come ridistribuirle, e questa è la cartina di tornasole per un gruppo dirigente. La cartina di tornasole sarà l’allocazione delle risorse dentro l’organizzazione, sarà il numero di persone che saremo capaci di mettere a disposizione degli insediamenti nuovi, saranno i momenti concertativi tra categorie e dimensione territoriale e dimensione dei servizi, che tentano di interloquire con i lavoratori che sono diffusi nel territorio.
CAMERA DEL LAVORO. Quando un lavoratore, una lavoratrice, un disoccupato, un pensionato ha un diritto che vuole sia tutelato va alla Camera del Lavoro. Le Camere del Lavoro sono state fondate da oltre un secolo rappresentando l’universalità del lavoro. lì lavoratore che si avvale dei nostri servizi fiscali o di patronato è convinto di recarsi alla Camera del Lavoro, CAF, Patronato, Uffici Vertenze sono distinzioni nostre, a volte imposte dalle leggi, ma i lavoratori o i pensionati, si recano alla CGIL: la casa dei lavoratori e dei loro diritti. Le Camere del Lavoro dei nostri centri sono sedi riconosciute da coloro che rappresentiamo, da quelli che non rappresentiamo e dagli altri soggetti sociali, che ci vedono come portatori di valori, di solidarietà, di difesa dei diritti, di impegno civile e sociale. Non si tratta di confermare la Camera del Lavoro, ma di costruire la nuova Camera del Lavoro, dove siano modulati all’interno le nuove dimensioni orizzontali e verticali, il sistema dei servizi, le risorse, le persone impegnate, e di attrezzarla a continuare a rappresentare il mondo del lavoro e dei diritti.
SPI. Sappiamo che ci sono temi sui quali allo Spi viene riconosciuto un ruolo contrattuale specifico e totalmente autonomo, funzioni nelle quali deve operare, sotto il coordinamento della CGIL e delle Camere del Lavoro. Se il numero di persone, che saremo capaci di mettere a disposizione degli insediamenti nuovi, sono la cartina di tornasole, di una nuova allocazione delle risorse dentro l’organizzazione, saranno utili i momenti concertativi tra SPI, dimensione territoriale e dimensione dei servizi, e CDLT che tenteranno di interloquire con i lavoratori che sono diffusi nel territorio. Occorre un positivo rapporto di integrazione anche organizzativa con le grandi potenzialità che ha lo Spi. Anche l’attività del Cid e quella di Nidil devono essere costruite in un rapporto positivo con lo Spi, laddove l’anziano ha il nipote che è precario e ha un rapporto di lavoro difficile. E’ un’attività che anche in Abruzzo deve realizzare sperimentazioni nelle Leghe Spi, non rivolte genericamente al cittadino, come spesso viene fatto, ma al giovane, al precario, al disoccupato, con una funzione peculiare dello Spi, della confederazione e di chi è preposto a misurarsi con il lavoro precario. lì superamento dell’incompatibilità tra la direzione della Cgil e quella dello Spi deve essere vista come un’occasione di un nuovo progetto d’integrazione con lo Spi, che ha una rete straordinaria (quasi sessantacinquemila) di iscritti. Una ricchezza enorme che deve vedere la Cgil impegnata, insieme allo Spi, nella realizzazione delle Leghe, che ripeto sono una istanza congressuale confederale della Cgil, come il comitato degli iscritti. Oggi lo SPI si è dotato di un progetto di reinsediamento nelle 35 Aziende Sociali (quelle previste dal Piano Sociale), un progetto forte difficilmente raggiungibile se lo Spi viene lasciato solo. Eppure la spesa nei servizi, il consorzio per i servizi, la integrazione socio-sanitaria, le attività ricreative e culturali verranno decise a quel livello ed a quel livello dovranno essere presenti Cgil e Spi, per dare una risposta agli anziani, ai bambini in difficoltà, agli handicappati ed al disagio sociale.18