Ormai è tempo di dare una risposta alla domanda: quando passi dalla cronaca alla storia, le categorie da utilizzare sono diverse da quelle dell’odio?  È giunta l’ora di rispondere legittimamente di sì. In conclusione, coloro che si sentono, senza esserne stati nominati dall’esecutore testamentario, eredi di tutto quello che furono Pci-Psi, hanno il dovere di dismettere la categoria del rancore, per assumere e nutrirsi a quella del “rigore” e del sapere. Questo mi chiedo quanto leggo qualche scritto che ripropone la storia di una lite interminabile tra comunisti e socialisti. A volte sorrido, ma non sempre. C’è una tendenza a liquidare il contenuto di una storia, pari ad un ¼ di secolo, dal 1976  al 2000, di rapporti a sinistra tra socialisti e comunisti, con giudizi “rancorosi” che non appartengono al comune senso della “cultura socialista”. Una storia con alti e bassi, fatta di scontri “ideologici” di struttura titanica, ma anche di scelte e collaborazioni che hanno fatta grande l’Italia e gli italiani. Senza volere descrivere tutto, ma dimenticare che le giunte di sinistra nelle Amministrazioni Locali, hanno fatto crescere il paese e “conquistati” i comunisti alla visione democratica del governo, li hanno aiutati ad uscire dalla idea della “pianificazione”, per aderire alla più “socialista e moderna”  idea del programmazione democratica. Inoltre, solo per citarne alcuni, anche il contributo dato dai socialisti alla crescita, insieme ai comunisti, della più grande organizzazione dei lavoratori, la CGIL, alla democrazia ed ai diritti del lavoro comprese le organizzazioni degli artigiani con CNA, della campagna fino ad arrivare alla CIA e le Cooperative di lavoro, di servizio e di consumo. Però, c’è un però  perché sono questi anche gli anni di scontri “politici” indimenticabili: gli anni di Craxi e Berlinguer, successivamente di Craxi e Occhetto e per concludersi di Craxi con D’Alema. Anni roventi, le allusioni al social fascismo, dispute polemiche ed animati dibattiti, di discutibile vantaggio sulla loro utilità per la crescita della democrazia, ma nella testa di molti c’era di più e si esplicitava in molte occasioni lasciando un vivido ricordo, da quella:                                                                          a) frase di Berlinguer che arrivò a definire «pericoloso per la democrazia» il governo guidato da Craxi;   b) fischiata, durante il congresso del Psi di Verona, nel 1984, indirizzata a Berlinguer. “Odiosamente”.         In quella occasione, Craxi dalla tribuna commentò di essere dispiaciuto solo di non sapere fischiare, per cui non poteva unirsi ai fischi, un frase della quale, solo successivamente, si dispiacque per averla detta.
Rammentare gli episodi, condensate nelle due frasi, è molto utile per la polemica della piccola cronaca o dei reduci dell’odio, ma non aiutano la comprensione reale di quello che realmente stava avvenendo. Una fase con contenuti trascurati dalle tifoserie di ieri e di oggi. Esistevano condizioni diverse: intuite, ma non praticate.  La stagione che si apre nel 1976 vede un Craxi eletto segretario del PSI grazie al fatto di essere considerato  talmente debole sul piano dei consensi, da apparire  una “buona” carta per la transizione dal PSI dei Nenni, De Martino e Mancini. Il suo ruolo si giuoco subito, in concomitanza della nascita del  governo Andreotti, proprio quello  della «non sfiducia» con i comunisti per la prima volta in maggioranza. Furono fiere le parole di Bettino, piene di speranza e con il cuore aperto alla novità dello “sdoganamento” democratico del PCI, in un paese Nato, quanto alla camera rivolgendosi al paese parlò  di un PCI «partito che rappresenta una parte importante del popolo lavoratore» ed espresse gratitudine per «il suo contributo alla vita democratica del Paese». Udite, udite il “nemico” Bettino si augurò, con il PCI «convergenze unitarie e possibilità attuali e future di obiettivi comuni tra le forze di sinistra, pur in presenza di strategie non identiche». La risposta del PCI non si fece attendere esprimendosi con un rifiuto pregiudiziale ad ogni ipotesi di percorso comune e con un ripudio nei confronti del programma craxiano sia sulle riforme economiche che su quelle istituzionali. Il PCI di Berlinguer decise l’immediata contrapposizione tra i due partiti. Questo atteggiamento, a memoria di chi lo ha vissuto,  determinò uno scontro  permanente. Brevemente, a memoria il primo si sviluppò con il caso Moro, dove  il Psi,  da solo, si spinse fino a tentare la strada della trattativa con le Brigate Rosse. Non venga considerata una semplice scelta “tattica” o un incidente, perché Bettino immediatamente spiegò che la posizione di Berlinguer era frutto del suo nascosto ed immenso senso di colpa, che viveva da comunista, così forte da spingerlo alla fermezza nei confronti del terrorismo, che nasceva dall’album di famiglia dei comunisti e dalla opposizione ad ogni teoria di “compromesso storico”. Per inciso bisogna dare per scontato che, insieme a questo argomento esisteva anche l’idea che prima o poi la DC avrebbe mollato. Ma purtroppo, per Craxi e craxiani, questo non avvenne. Ma tutto proseguì è nemmeno il  fallimento dei governi di unità nazionale aiuto a trovare un percorso un ragionamento comune. Fu però  con la riproposizione del centrosinistra che i rapporti tra i due partiti si deteriorano irrimediabilmente. La lettura degli episodi storici, dopo avere pulita la cronaca, ci racconta di una totale indifferenza del PCI ad ipotesi di collaborazione, anzi assistiamo alla crescita del risentimento verso qualsiasi forma di collaborazione. Molti storici interpretano questo “risentimento” come la chiave di lettura che il  Pci berlingueriano, dava nel confronto del PSI, che aveva lottato “colpevolmente”  contro qualsiasi ipotesi del compromesso  PCI- DC e del suo approdo stabile al governo. Tutto questo viene letto, nel ritorno democristiano, espresso poi nel celeberrimo «preambolo Donat-Cattin», all’anticomunismo e alla collaborazione con il Psi. In questo il PCI  trovava la conferma della propria emarginazione e del ruolo “negativo” del craxismo. Quella del dare del craxismo a tanti politici dell’epoca, apparteneva alla categoria del massimo disprezzo, ma anche al tentativo di trovare più disponibili i socialisti cosiddetti buoni, per provocare lacerazioni, in casa del nemico.
Eppure esiste ancora un passaggio politico essenziale, dove anche il rapporto fisico è impossibile da riconsiderare. Se nel 1983, poco prima che si formasse il primo governo Craxi, tentando di salvare il salvabile in termini di rapporti, si conclude un incontro nella sede del PCI, Craxi e Berlinguer presenti, senza nemmeno uno scambio di auguri su un augurabile buon destino del paese. Tornano alla mente le parole del ricordo di Gennaro Acquaviva, presente all’incontro. Per raccontare come Craxi, annotò l’ostilità di Berlinguer, fino ad esternare la sua difficoltà ad intendersi “con uno che a casa ha ancora la tv in bianco e nero”.  Ma Enrico non aveva in animo, solo una dura opposizione, ma anche sentimenti di estraneità a qualsiasi disegno potesse venire “dal pericoloso Craxi”. Una cosa che non venne migliorata dal successo del governo sulla revisione del Concordato, che possiede il limite di porre Craxi al centro della relazione diretta con il Vaticano. Anzi. Insieme a lui, in maniera del tutto simile ed evidente, si manifestò l’ostilità del  segretario nazionale della Dc De Mita che arrivò a non votare, alla Camera, la ratifica il trattato con la Santa Sede. Una vicenda questa del Concordato (sottoscritto il 18 Febbraio del 1984)  storicamente oscurata dalla concomitanza, con il più famoso 14 febbraio 1984, giornata della proclamazione del decreto di San Valentino. L’epilogo doloroso, quello del Decreto, non desiderata da tutti, a partire dallo stesso Craxi, ma anche una scelta di politica economica epocale, e coraggiosa, sollecitata in maniera esplicita dai Carniti, con la sua Cisl, da Benvenuto, con l’intera Uil e da buona parte della Cgil, su come trovare una forma efficace di lotta alla Inflazione, in un paese che restava fermo, nell’assistere alla falcidia del valore delle pensioni e delle retribuzioni, insieme alla crisi economica e produttiva, attraverso il  taglio del sistema di scala mobile. Craxi esprimeva tutti i suoi dubbi, sullo strumento del Decreto, cercava un accordo anche con Lama, desiderava mantenere in piedi l’Unità tra le organizzazioni Sindacali, ne temeva la rottura, perché nel suo progetto politico il sindacato era l’asse portante di un disegno riformatore e progressista- . Ma alla fine le ragioni di leader come Carniti, affiancato da economisti come Tarantelli, che esternavano, anche a Craxi ed agli altri leader sindacali, tra i quali Del Turco, la loro incredulità e scetticismo di fronte ad una possibile disponibilità dei comunisti e di  Berlinguer, a dare “spazio” ad una azione  politica contro l’inflazione. Secondo loro mai il PCI di Berlinguer avrebbe dato ad un governo, a guida Craxi, quindi “governo pericoloso”  per la democrazia  meno della ostilità, perché lo scontro era il terreno scelto. Ed arrivò lo scontro, ma  con una rottura senza precedenti, che coinvolse anche la Cgil, ormai ingabbiata nella voglia berlingueriana di fare i conti, fino a portare, buona parte del mondo del lavoro e della sinistra italiana verso una sconfitta “referendaria”  irragionevole anche per i suoi contenuti. L’argomento non cadde mai su che cosa avrebbe dovuto fare un governo, nella lotta ad una inflazione che stava massacrando il valore reale dei salari e delle pensioni, ma sui pericoli che la democrazia subiva con una governo con a capo l’uomo Craxi.  Con questa parola d’ordine si svolse il referendum, un appuntamento che “umilio” il PCI di Berlinguer per aprire , senz’ombra di dubbio un passaggio di successo fra i più riusciti per Bettino Craxi. Il punto, che i vertici del PCI non riuscivano ad accettare, anche se consapevoli, era la necessità di intervenire in una fase nella quale l’alta inflazione e l’indicizzazione salariale si sostenevano a vicenda. Su questo punto debole, della strategia comunista, si provocò la crescita di quelli che esigevano, spingendo in avanti anche un “titubante” Craxi, l’uso della forza per tagliare il nodo nei termini più drastici addirittura con il ricorso, ai limiti della costituzionalità, allo strumento del decreto-legge. Se non ricordo male, anche i socialisti della Cgil, tra i quali il sottoscritto, pur condividendo la necessità dell’intervento sulla perversione del meccanismo di “Scala Mobile”, espressero preoccupazioni, una opinione espressa, per quanto mi riguarda, nel corso del mio intervento in occasione di una Assemblea Regionale, a Chieti Scalo, dei dirigenti e delegati CGI. Contrario al percorso aperto dal Decreto che si trascinava dietro un contenuto pericoloso, anche per il ruolo futuro del sindacato e, penso, che il sindacato confederale ne stia ancora pagando le conseguenze.  A mio parere la chiusura “cieca” del PCI lasciò spazio a chi pensava che quella era, non sola la mossa, per piegare la curva dei prezzi con implicite finalità di aggiustamento del ciclo economico, ma anche la “botta strategica” per affermare il corso “craxiano” vincitore della competizione politica, per la leadership dello schieramento riformatore e di sinistra in diretta concorrenza con il Pci, tramortito all’angolo dall’offerta di una opposizione solitaria ed ostile e, nello stesso tempo, isolata rispetto ai grandi interessi  economici e finanziari del paese. L’esatto contrario dei risultati ottenuti da Craxi, nonostante la sua perplessità di fronte alla rottura unitaria del  mondo sindacale, infatti era spasmodica la ricerca di un accordo con Luciano Lama. Un accordo cercato in maniera palese, ostile all’idea di dividere il blocco tradizionale delle tre grandi confederazioni. Molti sostengono che in fondo Craxi nutriva la speranza che la resistenza della Cgil di Luciano Lama finisse per condizionare la posizione del partito comunista. Una operazione non riuscita, ma in compenso l’intransigenza comunista era talmente dura, da mettere in discussione anche la leadership di Luciano Lama, continuamente scavalcata e messa a dura prova anche dentro la stessa Cgil, dove diversi “giovani” tentarono di aprire una sorta di referendum “negativo” nei confronti delle posizioni di Luciano Lama. Il resto appartiene anche agli infiniti tentativi, durante l’aspro dibattito parlamentare sul decreto di San Valentino, di correggere più parti con tante proposte per raggiungere sulla  via emendativa un compromesso su tempi e modi del testo di legge. Ma c’era anche Lama che operava, sia ricucendo i rapporti con i socialisti della CGIL,  ma anche in questo contesto come fiero avversario nei confronti di una linea oltranzista. Insomma il leader della Cgil lavorava per ricostruire la prospettiva di un’ intesa che servisse anche a ricomporre un’ unità sindacale finita allora in frantumi. Tentativi falliti di fronte alla scelta strategica di un ritorno all’ opposizione frontale, voluto anche nella convinzione che il punto non era la sconfitta referendaria, ma che questa mossa avrebbe consentito al Pci di raccogliere una messe di consensi almeno pari a quella dei trionfi elettorali della metà degli anni Settanta. Tutti sanno che Il risultato fu quello di un netto “en plein” della strategia craxiana. Il paese respinse la contestazione del suo intervento sulla scala mobile e, al tempo stesso, il partito comunista apparve ricacciato in un ruolo di opposizione impotente e di conservatorismo antiriformista. Nei mesi successivi l’andamento declinante del tasso d’ inflazione dimostrò l’ efficacia dell’ intervento sulla scala mobile. Chi scrive resta della opinione, che quella scelta sull’Inflazione fece crescere una determinante immagine negativa del Pci, e dei suoi gruppi dirigenti, presso larga parte dell’ opinione pubblica, al punto tale che a distanza di anni pur di fronte agli episodi di corruttela politica, che poi hanno portato allo sfascio del partito socialista craxiano, fu determinante che il partito alfiere della questione morale, non ne traesse i guadagni auspicati in termini di consensi. Berlinguer morì poco dopo, ma i suoi eredi non hanno saputo superare quella fase e quel tragico errore compiuto nel non venire a patti con Craxi e nemmeno misurarsi sul Progetto di Unità Socialista. Ma nessun aiuto arrivò nemmeno in occasione della prossima e ravvicinata a morte del segretario comunista. Le parole di Craxi su di lui erano state dure, ma raggiunto dalla notizia del malore mortale ne restò sconvolto. Chi gli era vicino conosce anche il suo stato di agitazione che non si acquetò ma, anzi si accentuò,  quanto lo stesso si recò a rendere omaggio alla salma durante i funerali di Berlinguer. Gli successe di essere fischiato da una folla di quasi due milioni di persone, comportamento inatteso ed impensabile in circostanze come quella, si racconta che: “La prese male. Non lo accetto, sbottò. In mezzo a loro ci sono tanti nostri compagni e io considero questa gente la mia gente!”.
Restano le polemiche, le “letture” strumentali e giudizi rancorosi su questa, che resta una operazione politica di alto livello, utile per l’economia italiana, perché la riduzione dell’inflazione c’è stata insieme ad una crescita del valore reale dei salari. Gli studi econometrici ci raccontano che all’insediamento del governo Craxi i salari reali erano al di sotto dello zero e successivamente crebbero fino al1992,quando raggiunsero circa il 4% in più. Da questo punto di vista siamo ben lontani dal valore reale dei salari, come annota l’OCSE, che annota un Italia del valore dei salari in caduta libera. Quindi il racconto che ci perviene, dalla memoria collettiva, cioè la convinzione diffusa che con Craxi i salari crescevano e i ceti popolari stavano meglio ha una base scientifica. Dopo di che finita la presidenza socialista, i cinque anni dal 1987 al ’92 sono quelli del declino di Craxi e dell’avvento, dopo la segreteria di transizione Natta, di Occhetto come nuovo leader del Pci. I due si conoscono, hanno in comune un passato studentesco negli ultimi parlamentini universitari ma, pur cercando di svelenire la pesantezza dei rapporti dell’epoca precedente, non riusciranno a costruire niente di significativo. Caduto il muro di Berlino e l’aggettivo «comunista» dal nome del partito divenuto «democratico di sinistra», Occhetto,  grazie, più che all’aiuto, alla non ostilità del leader del Psi,  riuscirà a entrare nell’Internazionale socialista. Craxi farà svogliatamente, senza impegnarsi più di tanto, la proposta di «Unità socialista. E poi è storia recente, ma non riguarda più un inesistente Psi, come un estinto Pci.