I socialisti nella Cgil. Idee ed immagini.

Fernando Santi

Curioso destino quello dei leader del sindacalismo italiano del Novecento. Mentre  conservano un minimo livello di notorietà i capi politici del socialismo e del comunismo, da Turati a Nenni, da Togliatti ad Amendola, al contrario sono sempre  più sfocati i nomi di un Fernando Santi, di Bruno Buozzi o di un Di Vittorio. Tutto ciò nonostante l’importanza del contributo del sindacalismo che, nell’età giolittiana e poi in quella repubblicana, non fu certo inferiore, nell’alfabetizzare politicamente le masse (e persino nel nazionalizzarle), a quello dei partiti politici. A questo destino di oblio non sfuggono Lizzadri Oreste come Santi, i due Vice Segretari Buschi Nazzareno e Foa Vittorio, che  in successive Segreterie  saranno eletti Segretari Nazionali. Ma anche  arrivando a tempi più recenti nomi di due deceduti, in tempi diversi, cioèAgostino Marianetti e Guglielmo Epifani importanti esponenti del sindacalismo socialista, tutte e due  segretari aggiunti della CGIL , L’ultimo ne è stato Segretario Generale. Ma esiste un motivo, esiste una “mistica” del racconto dei contributi dati alla evoluzione dei grandi processi politici e storici posti in essere dal  sindacalismo italiano. Il primo che viene in mente è quello riguardante i contributi, sulla realizzazione del progetto posto alla base del Patto del Lavoro. Infatti la “storiografia” dominante recita in maniera sbrigativa l’appartenenza della paternità dell’idea all’allora segretario della CGIL, Di Vittorio. Verissimo ma per quale motivo viene oscurato il ruolo essenziale svolto da Santi, durante gli anni tormentati dell’elaborazione del centrosinistra, del confronto sul costo del lavoro e della Autonomia sindacale fino, a quelli più recenti sulla partecipazione democratica alla Programmazione ed alla Concertazione. Questa mistica del racconto storico ci conferma che nei gruppi dirigenti della Cgil esiste una tendenza a considerare e definire poco significativo, e quindi ininfluente, il ruolo dei socialisti alla crescita di temi importanti, ma mai considerati essenziali e, quindi poco studiati e conosciuti. Eppure i contrasti sono il substrato della fertilizzazione della crescita della Cgil. Quale valore dare proprio al momento nel quale Santi, durante una infuocata e storica riunione della segreteria, nel suo discorso di  commiato,  tenuta  durante il VI Congresso dell’organizzazione sindacale nel 1965,  lanciò  l’idea-forza di un sindacato realizzato nel solco del concetto di «riformismo». Siamo alla novità della “innovazione” richiesta ad un gruppo dirigente nella sua maggioranza di estrazione comunista, della proposta di un disegno politico, come sappiamo oggi di lunga lena e con percorso lento, ma “proposto” a quella  CGIL, anche nella sua parte vetero comunista del tutto ostile,  che non ancora riusciva ad abbandonare le sirene di una organizzazione a trazione “leninista”. Quindi, potrete immaginare lo sgomento di chi viene a conoscenza dell’esistenza di un importante convegno organizzato dalla Cgil Abruzzo dal titolo “Bandiere Rosse”  sul tema: “I comunisti della CGIL, tra partito e sindacato. Una riflessione storica, un confronto tra i protagonisti”. Un Convegno che accoglie tra i propri partecipanti una ricchezza di esperienze, però mutilata dalla presenza, visto che è un convegno della Cgil, di una qualche personalità in grado di illustrare punti, temi e scelte appartenenti alla ricca storiografia della Cgil, per arricchire il dibattito con una analisi sui tempi e modi dei contributi alla crescita politica ed all’affermazione dei tanti punti di vista, e  su temi “essenziali”, oggetto di discussioni calde ed appassionate nella Cgil. Si prosegue a trascurare il valore del “vissuto” politico coltivato e fatto crescere nel Sindacato e nella Cgil, dalla componente  socialista naturale erede e portatore di una  concezione «umanistica» del sindacato. Una Cgil organizzata come casa aperta a disposizione della democrazia. Una lunga lotta contro le “storiche cinghie di trasmissioni», perseguita solo con il prevale dell’autonomia, sia dalle forze economiche, ma anche dai governi e dai partiti politici, a partire dal PCI e dal PSI. Un sindacato autonomo, riformista incentrato su una concezione «gradualistica», dove le conquiste arrivano grazie al lavoro quotidiano: giorno dopo ogni giorno. E quanto si apre una riflessione su questo tema bisogna tornare ad un preciso  filone di pensiero  «riformista». Innegabilmente il pensiero della “ corrente” socialista  era influenzato da un grande socialista Riccardo Lombardi assertore di una azione politica , e sindacale, basata su programmi nei quali l’azione delle riforme doveva incidere sulle «strutture», secondo il concetto assai in voga in quegli anni di «riforme di struttura». Ma se ci si interroga su temi così  complessi, bisogna dotarsi di “pluralismo” delle idee, allo stesso modo del già vissuto: la crescita in un contesto sindacale composto, da uomini e donne, dove le battaglie tra socialisti “riformisti”  e comunisti “leninisti!” erano allora aspre e dure, e quindi meritevoli di essere apprezzate nel loro valore storico e nella loro, altrettanto valenza storica, utilità per la crescita di un movimento sindacale maturo. Giova che queste discussioni, via via si attenuano, solo per l’affievolirsi delle differenze e, soprattutto per l’avvenuto  abbandono delle rigidità sul piano dottrinale e propagandistico, da parte comunista o della scomparsa del protagonista socialista. Naturalmente questa “kermesse” politica non può essere affievolita dai problemi posti dallo stato dei protagonisti. Sarebbe un scelta penosa, visto che la storia è, da sempre la “maestra” del fare del domani. Bisogna dire, che nel periodo storico, precedentemente vissuto, da comunisti e socialisti proprio nel bel mezzo di lotte da fare per il miglioramento delle condizioni di lavoro, della riduzione della durata dell’orario, dagli aumenti del salario. Visto che questi punti rivendicativi non potevano essere risolti nel solco di un bel sole dell’avvenire, c’era un concreto da svolgere, cioè ad un operare  laico. Un punto di arrivo, ma giunto grazie all’avvio del lavoro dei socialisti nel Movimento Sindacale, innanzitutto grazie a Santi , anche dopo che, lasciata la segreteria Nazionale Cgil, da deputato insieme al leader Riccardo Lombardi, divenne uno dei  principali esponenti della corrente ispirata all’«autonomismo». In concreto. Senza fermarsi alla denuncia del limiti e degli errori del «vecchio riformismo», lo supera sostenendo un diverso riformismo. Il cuore del tema si basa nella ricerca pratica di un modello politico basato sulla introduzione di elementi di socialismo nelle sfera economica e dei rapporti sociali, per modernizzare il paese e il sistema di relazioni sindacali con il sistema imprenditoriale. Non diviene più una resa al capitalismo, o un tentativo di “compromettere” la classe operaia  in un processo di subordinazione ai ceti dominanti , ma progetto politico per portare il mondo del lavoro nel cuore dei processi decisionali politici, sociali ed economici.  Le «riforme di struttura>> che però  nella sfera del sindacato, danno una diversa vita, alle divisioni tra «socialista» e «comunista» , con  accenti differenti da quelli di chi opera nell’agone dei partiti. Accenti che verranno ripresi in diverse iniziative e Convegni organizzati dalla componente socialista sui temi della Programmazione e della Democrazia Industriale che troverà in Agostino Marianetti, uno degli assertori più tenaci, durante la sua partecipazione alla Segreteria Nazionale della Cgil come Segretario Aggiunto. Una componente socialista che opera, all’interno della organizzazione, sui temi dell’autonomia e  delle riforme collegate allo sviluppo di una Democrazia Industriale evoluta,  moderna ed Europea. In fondo funzione di un sindacato confederale, non corporativo, è raccogliere quello che cresce nel mondo del lavoro e della società civile, per  costruire un agire collettivo, per una alternativa economica e politica. Finalmente, in questo modo, si afferma un ruolo più consono dei corpi intermedi, che portano la domanda di riforme al mondo politico e delle Istituzioni. L’esatto contrario della “stucchevole” critica di fonte comunista che spesso accusò la proposta delle  riforme di struttura, proposte dai socialisti, di cadere nel peccato  di «riformismo dall’alto». Banale critica che addirittura omette il ruolo del Parlamento che, fino a regime diverso, promulga le riforme e le promulga come pretende una democrazia rappresentativa.  Il tema assume un suo fascino, tra i socialisti, alle prese con la messa ai margini delle proposte all’interno del partito socialista sulle Riforme di Struttura. Da rammentare che Lombardi, nel frattempo elaborava il suo famoso ossimoro: riformismo rivoluzionario.  Quindi élite, costantemente collegate alla base, proprio per essere questa diversificata, complessa, plurale, le cui passioni e i cui interessi non possono perciò mai essere completamente «incarnati» dai vertici. Nasce l’attualità di una idea di un sindacato inteso come attore collettivo produttore di educazione e di partecipazione alla democrazia, costruttore di cittadinanza, per questo aperto ad accogliere figure sociali sempre nuove, risultato delle trasformazioni di quelle «strutture» economiche, sociali, ma anche culturali e mentali. I mille soggetti utili alla realizzazione della democrazia e della Programmazione Economica, da mobilitare permanentemente, concetto espresso costantemente da Agostino Marianetti , raccolto pienamente da Luciano lama, durante la sua leadership nella Cgil. Una inversione forte di tendenza che però, non viene citata nella storiografia come opera della azione costante e della iniziativa politica dei dirigenti socialisti. Gli storici, ma anche nelle sue manifestazioni la CGIL, ha una discutibile tendenza ad   “oscurare” l’operato e il dovuto riconoscimento a tutti quei dirigenti che da Santi a Marianetti, anche passando per Ottaviano Del Turco , fino a Guglielmo Epifani , ci hanno portato lontano da quella impostazione presente nella CGIL, indicato nel ricordato discorso di commiato da Fernando Santi. Un lavoro decisivo vista la strada fatta da quell’epoca nella quale si guardava con freddezza, nella sinistra italiana, e anche nei socialisti, si guardava negli anni Sessanta al tema dell’unità europea. Sono stati, da Santi in poi i dirigenti socialisti, i fautori del passaggio dal sistema delle relazioni di una Cgil, ricca di comunisti legate alle varie radici internazionaliste del Federazione sindacale mondiale, in sigla FSM (in inglese World Federation of Trade Unions) … a forte stampo comunista rientrante nell’orbita d’influenza dell’URSS alla costruzione di un sistema di relazioni sindacali più utile alla realizzazione di una Europea sociale e politica e sulla fondazione di una sorta di «sindacato europeo». Ancora oggi  è del tutto da rifondare, il ruolo del sindacato come corpo intermedio, produttore di forme di legittimità che integrano ed allargano quella «statualità» che ha perso sempre più il proprio baricentro nazionale, ma anche in grado di affrontare la crisi di rappresentanza dei partiti politici italiani. In conclusione, bisogna chiedersi ancora oggi  in questa fase di crisi sanitaria, se le riforme di struttura di Lombardi e di Santi, per la realizzazione di una “Società diversamente ricca, perché più ricca” non devono trovare la  loro praticabilità. In concreto la crisi in atto, sociale economica e produttiva, ma anche le scelte sull’utilizzo dei fondi del PNRR chiedono  forme di legittimità e di decisione, di controllo e di governo nella sfera economica e sociale. Una nuova stagione della concertazione e della partecipazione allo sviluppo produttivo, economico e sociale. A tale fine è colpevole non rileggere proprio nella iniziativa politica di Marianetti la chiave per comprendere l’utilità di riflettere su quanto elaborato nel periodo di un’alta esperienza, posta con argomenti nel dibattito politico della Cgil, la convinta partecipazione ideale e progettuale di un sindacato riformista ai tentativi di innovazione del paese  ai tempi del primo centrosinistra. I socialisti diventano,  protagonisti di una battaglia politica e sindacale per l’affermazione di una impostazione moderna nella Contrattazione e democrazia sindacale, per l’affermazione di una dinamica  democrazia industriale ed economica, democrazia sociale e politica in un quadro di  rapporti convintamente unitari sia in CGIL e con le altre organizzazioni confederali. In conclusione è doveroso aprire una fase di “revisione” degli strumenti interpretativi utilizzati da grande parte del gruppo dirigente della Cgil, nazionale e locale, nella lettura dei grandi avvenimenti, delle conquiste e delle modernizzazioni che hanno riguardato il mondo del lavoro italiano e regionale.

È questo l’obiettivo che ci poniamo su questa pagina dedicata ai socialisti ed al ruolo svolto nella CGIL, perché la storia è più ricca rispetto a quella che viene “burocraticamente” raccontata. Ma con pazienza ci attrezziamo per ricordarla a comunisti,  post comunisti e distratti.

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