Cari/e compagni/e, quando è stata convocata questa Manifestazione della Cgil Abruzzo, volevamo esprimere la preoccupazione e il diniego dei lavoratori e delle lavoratrici abruzzesi, insieme ai pensionati, alle indicazioni contenute nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria progettato dal Governo di centro-destra e sostenuto con vigore da Confindustria. Le vicende politiche, però, hanno avuta una loro ulteriore accelerazione, grazie (si fa per dire) ai contenuti del cosiddetto Libro Bianco, proposto dal ministro del Welfare Maroni. Un cesto di frutti velenosi, un insieme di ricette, definite da molti esponenti del Governo, moderne ed innovatrici, tra le quali spicca la reinvenzione delle gabbie salariali, che non rappresenta altro che un ritorno all’indietro, agli anni 50’. Il Ministro non ha tenuto conto della nostra paziente spiegazione sui rischi insiti in questa scelta politica, ricca di pericoli recessivi da contrastare con convinzione. Ritornano in mente le molte critiche ricevute, quanto dichiarammo che i contrasti in seno al Governo, non erano tra liberisti e populisti, tra falchi e colombe, ma vertevano solo su come togliere diritti senza provocare reazioni popolari. L’attesa sulle proposte del governo in tema di lavoro, contenute nel Libro bianco è stata esaudita. Chi aveva dubbi ha ricevuto risposte. Il governo, quindi, si è messo alla guida di un carro armato, e ha deciso che le attuali regole del Mercato del Lavoro, già discutibili per i loro contenuti attuali di tutela dei diritti lavoratori e dei giovani neo-assunti, devono essere distrutte, ad alzo zero, anzi qualsiasi regola è un laccio insopportabile. Un altro Governo, nel 94’ sempre presieduto da Berlusconi, fu artefice del colpo di spugna su Tangentopoli, questa volta il Governo punta all’azzeramento della concertazione e della politica dei redditi. La rottura con un passato fatto di regole, di condivisione compresi i sacrifici, dei lavoratori e dei pensionati, per un obiettivo superiore: la crescita della coesione nazionale e sociale per l’Europa. Questa maggioranza, cavalcata da Confindustria, ha deciso di rompere con il passato con i diritti, con le tutele, con le regole così come le abbiamo conosciute e applicate fino ad oggi. Non è una sola sfida quella lanciata dal Ministro Maroni, ma un tam-tam di guerra che rompe i principi dell’armonia sociale. Oggi dobbiamo dire al Governo che è meglio riscrivere lo spartito. Questa nostra Manifestazione respinge al mittente sia il Libro bianco sul lavoro, sia il rapporto sulla previdenza della Commissione Brambilla. Forse, almeno questa volta non siamo soli, visto che Cisl, Uil, ma anche Ugl e Cisal reagiscono. Tra le Associazioni datoriali, ma forse bisogna tornare al più asciutto linguaggio degli anni 50’, quanto, per capirci non si usava il sociologico concetto delle risorse umane, e parlare più semplicemente di padroni. Tra le Associazioni dicevo, è possibile annotare un atteggiamento critico da parte di Confcommercio, mentre Confindustria non nascondendo più la sua soddisfazione è già passata all’incasso: la contro-riforma contenuta nelle pagine del «Libro», presentato Mercoledì 3 Ottobre, è una fotocopia dei documenti partoriti dall’assise confindustriale di Parma nel marzo scorso. Si sancisce il tramonto del contratto nazionale, l’inizio di quello individuale che può derogare ai patti collettivi, la fine dell’«egualitarismo salariale», il ritorno delle «gabbie» salarialì, la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per cedere il passo all’arbitrato che in caso di licenziamento può decidere per un risarcimento anziché per il reintegro nel posto di lavoro. E ancora, il requiem della legge sulla rappresentanza sindacale, la fine della commissione di garanzia sugli scioperi. Sulle pensioni, poi, la delega che sembra una pistola posta sul tavolo del confronto e l’allarme sulla spesa, quasi un paletto piantato oggi per giustificare i tagli che verranno. Il Governo proponendo l’ipotesi delle gabbie salariali apre una campagna conflittuale e risponde, alle nostre preoccupazioni sullo sviluppo del Mezzogiorno, con i “salari differenziati per territorio” introducendo una politica retributiva penalizzante per i lavoratori del Sud. Dimenticando, tra l’altro, che hanno già oggi, in molte parti del territorio nazionale, sono in essere retribuzioni più basse dei minimi. Voglio anch’io rifarmi all’esempio descritto da Epifani, in un suo recente intervento, per chiarire l’effetto delle proposte del governo. Un bracciante agricolo meridionale che guadagna mediamente non più di un milione e 300 mila al mese, con una riduzione del salario del 30%, piomba direttamente nell’area della povertà. Il Governo, ogni giorno, annuncia provvedimenti a sostegno dei più poveri e lo ha ripetuto anche per i pensionati al minimo, salvo poi non precisare la portata e la quantità degli interventi. Forse è solo una fase di riflessione prima di allargare l’area di coloro che vivono con retribuzioni molto al di sotto del limite di sussistenza, per sostenerli, poi, con politiche assistenziali mirate. Noi, oggi, intendiamo inviare un messaggio al mondo del lavoro: la Cgil dichiara che questo governo proclama di essere per la modernità, ma pensa a relazioni sindacali da anni Cinquanta. Aggiungo, e mi chiedo, se il Ministro Maroni, nel suo Libro Bianco ha tenuto conto degli scenari che, una tale scelta, potrebbe produrre negli assetti sociali e tra i valori professionali uguali ? Epifani ci ha già detto che cosa potrebbe accadere nel mondo dei servizi, in particolare nella sanità o nella scuola, quali migrazioni, con l’immancabile impoverimento delle aree già arretrate e/o in ritardo di sviluppo, di professionalità attratte da maggiori possibilità di carriera e di guadagno. Il Governo, per gratitudine al sostegno datogli da Confindustria, si imbarca in un’avventura che può solo portare il Paese in una fase di incertezza e di instabilità sociale. Basterebbe questo argomento per respingere l’intero modello proposto, teso al restringimento dei diritti, all’accentuazione della precarietà del lavoro e che sposa solo la logica dell’impresa. Il noto dicitore di barzellette Berlusconi, (è lui che si definisce tale, anzi se ne fa un vanto costantemente), nel fare una battuta <<su chi ha scritto il programma di chi», sfuggitagli sotto elezioni, ha oggi rivelato una cosa nota: il programma della sua Casa delle Libertà era una fotocopia di quello degli industriali. Alcuni organi di stampa hanno sottolineata la circostanza, molto curiosa per la verità, determinata dalla decisione del ministro Maroni di fare pubblicare il testo del documento oltre che sul sito istituzionale del Ministero anche su quello del giornale di Confindustria. Forse perché le bozze erano già state preparate da Confindustria e quindi si poteva procedere senza perdite di tempo alla celebrazione del rito funebre della concertazione ed al battesimo di un imprecisato «dialogo sociale», da tradurre in una chiacchierata per potere poi fare da soli. Ci sono atti già compiuti che precisano meglio questa volontà; mi riferisco alla gestione della vicenda dei contratti a termine, del contratto dei metalmeccanici e del patto di Milano. Alcuni degli esempi più recenti che già conducevano verso la cancellazione della politica dei redditi, della concertazione e delle regole della rappresentanza. Nella vicenda contrattuale dei metalmeccanici, la Fiom ha già dovuto affrontare il tema dell’esistenza di un deficit insopportabile di democrazia nel sistema delle relazioni e dei rapporti. Il Libro Bianco, non solo non risponde a questo semplice problema di democrazia, posto dalla raccolta di firme della FIOM teso ad ottenere un pronunciamento dei lavoratori, ma regolarizza tale comportamento con la mancata previsione di strumenti e di normative di legge che siano in grado di dare certezza alla rappresentanza. Il Libro Bianco cerca di favorire una sorta di frantumazione della rappresentanza e il rafforzamento mediatico di quelli che non hanno rappresentanza, nei settori pubblici esattamente come quelli privati. Anzi formalizza la tesi che una situazione contrattuale venga sottoposta alla valutazione di una parte assolutamente minoritaria dei destinatari della stessa. Una caricatura offensiva per i poteri di decisione, sulle proprie sorti, dei lavoratori. Lo stesso tono delle azioni messe in movimento nella scuola, che non riguarda solo la sospensione della riforma dei cicli (e non certo per migliorarla, anzi nemmeno ne parlano), ma la scesa in campo di condizioni che portano progressivamente a un indebolimento della scuola pubblica con il rafforzamento, anche attraverso trasferimenti di risorse alla scuola privata. Una scelta nettamente offensiva dei principi materiali della costituzione. Così come, per altri versi, l’attacco sarà alla costituzione materiale, se non a quella formale. Il Libro Bianco esplicita un volontà aggressiva e contraria al sistema dei diritti e a quello delle tutele, cioè a quelle condizioni che hanno sempre garantito il massimo possibile di coesione sociale in un paese storicamente diviso, come il nostro, tra un Nord più ricco e un Mezzogiorno più povero. Sulle pensioni ci hanno spiegato che con meno contributi si possono avere pensioni più alte. Hanno deciso di utilizzare la delega contro la nostra volontà. il governo ha confermato che su pensioni, fisco e riforma degli enti utilizzerà la delega nei collegati a prescindere dalla volontà delle parti sociali. In questo scenario dunque avverrà il confronto, tra l’altro in un contesto evidente di mancata crescita economica. La verifica previdenziale si accompagnerà a una legge finanziaria che avrà questo contorno, nazionale e internazionale, di tensioni economiche. Già il Documento di programmazione economica e finanziaria non ha fissato una quantità di riduzione dell’andamento della spesa previdenziale, ma ha descritta con precisione un’ipotesi di modifica della Dini che è stata lungamente discussa e poi congegnata all’interno del governo. Molti ricorderanno che la Cgil ha lungamente polemizzato, e denunciata questa intenzione di modificare la Dini, prima di qualsiasi verifica dell’andamento della spesa. Una verifica che, sulla base dei dati disponibili delle ultime rilevazioni anche da parte dell’Inps, non potrà che confermare che l’andamento della spesa previdenziale sostanzialmente è in linea con quanto previsto nella legge del ’95 e con le correzioni del ’97 ed eventualmente sconta qualche piccolo miglioramento dovuto al buon andamento dell’economia negli ultimi anni. Non è sufficiente però per il Governo che ha già discusso ripetutamente del che fare prima ancora di avere i dati completi e ultimativi della verifica stessa. Noi ci attestiamo, al contrario, sulle posizioni già note: partiamo dall’esigenza di avere il secondo pilastro, la Previdenza Complementare, disponibile per tutti con l’utilizzo volontario del trattamento di fine rapporto. Affonderemmo il problema di correttivi all’andamento di spesa soltanto qualora venisse confermata l’esistenza di uno o più problemi. Se la gobba, più volte indicata, di origine demografica verrà confermata, andrà affrontato quel problema, non altro. Bisogna però non sottovalutare le ragioni per le quali all’interno del governo si sono mosse opinioni tradotte poi in ipotesi di intervento come quelle alle quali ho fatto breve cenno. Il Ministro del Tesoro, non ha mai nascosta la sua intenzione di manomettere l’impianto e la struttura dell’assetto previdenziale, per realizzare ridimensionamenti di spesa in grado di contenere gli effetti della mancata crescita. È stato illusorio pensare che a questa idea se ne contrapponesse una più gradualista e più attenta alle esigenze delle persone. Quella del Ministro del Welfare, al contrario, è solo un’ipotesi pericolosa e devastante nei suoi possibili effetti di medio e di lungo periodo. L’ipotesi si basa su di una diminuzione consistente dei contributi per i nuovi assunti offrendo una previdenza pubblica di scarso valore e sensibilmente inferiore alle loro aspettative attuali. E non è nemmeno vero che un intervento di questa natura non avrebbe effetti per le persone che oggi sono nel mercato del lavoro: non avrebbe effetti immediati, ma la diminuzione progressiva del monte contributi disponibili farebbe mancare, in un arco di tempo medio-lungo, risorse al sistema, obbligando a rivedere rendimenti e prestazioni in quello stesso arco di tempo. Il ministro del Welfare affaccia, dunque, una soluzione di doppio regime, discriminante per alcuni e pregiudizievole per tutti. La suggestione machiavellica è la seguente: «Agli attuali lavoratori non succede nulla», mirata a tranquillizzare la gran parte della platea alla quale ci si rivolgerà in ragione del fatto che il danno immediato maggiore riguarda quelli che non ancora si affacciano sul Mercato del lavoro e dunque non possono reagire. La stessa tesi che viene utilizzata per sostenere la proposta intorno all’articolo 18, che si propone mantenuta per gli occupati attuali e cancellata per i futuri, suggerita dalla onnipresente Confindustria. A nulla vale quanto dichiarato nella Carta dei diritti varata a Nizza che prevede esplicitamente, all’articolo 30, che non ci possa essere licenziamento di una donna o di un uomo senza giustificato motivo. Ed è questo il punto, al contrario si alimenta una polemica strumentale sull’impossibilità in Italia di licenziare, dimenticando che essa è prevista dalle leggi e dai contratti, che fissano esplicitamente le ragioni e le condizioni. Su queste questioni la posizione della Cgil è nota. Resta da vedere dove ci porterà la discussione, su questi temi aperta con Cisl e Uil, per assumere un orientamento univoco. Il Comitato Direttivo della Cgil aveva già prefigurato alcuni orientamenti possibili sui singoli punti enunciati nel DPEF e poi nel Libro Bianco. I fatti confermano la fondatezza delle nostre valutazioni: gli obiettivi di crescita sui quali è stato costruito il Dpef erano irrealistici, così come è fallito il maldestro tentativo strumentale di individuare un extra-deficit da assegnare come responsabilità al governo precedente. Attenzione, però, cogliendo l’occasione dei più recenti avvenimenti internazionali, dopo l’attentato terroristico dell’11 Settembre, il ministro dell’Economia e il governatore della Banca d’Italia, già cercano di preparare il terreno al nuovo affondo, iniziando a spiegarci che, per ragioni esterne alla loro volontà, le cose forse non sono andate come previsto e dunque una parte rilevante delle ipotesi affacciate nel Dpef dovranno essere rivisitate. Possiamo scommettere che la forbice riguarderà le spese correnti (che sono poi, nella gran parte, le spese per le politiche sociali e quelle per il personale). E nel confronto con Cisl e Uil così come poi in quello con il governo, dovremo chiedere che vengano fissati orientamenti e poi scelte concrete già nella stessa legge finanziaria perché i meccanismi redistributivi non vengano condizionati o alterati. Esiste un problema già affacciato nel testo del Dpef: allo stato non sono previste risorse sufficienti per rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici che scade entro la fine dell’anno. Questo un problema che andrà risolto con la legge finanziaria, ma ad esso si aggiunge anche un sostanziale silenzio relativo alle modalità con le quali si dovrebbero confermare provvedimenti del governo precedente e dunque utilizzare la riduzione della pressione fiscale anche per i redditi da lavoro o da pensione. L’unica cosa chiara è che si prefigurano trasferimenti fiscali verso le imprese, ancora una volta agendo sul versante dell’offerta e trascurando la domanda. Da parte nostra la riduzione della pressione fiscale deve valere in primo luogo per i redditi da lavoro e da pensione. La vicenda dei meccanici nelle settimane passate contiene in sé tanti indicatori della volontà non soltanto di Confindustria, ma anche del governo. È evidente che quando si sceglie di forzare fino al punto della rottura nei rapporti con la organizzazione più rappresentativa, si fa una scelta politica che è una prova generale per il ridimensionamento di costi, tutele, diritti e redistribuzione salariale. Pensare che la questione si chiude in quel settore, potrebbe indurci in un grave errore di valutazione. La Cgil ha riproposta l’idea di una fiscalizzazione dei contributi per i lavoratori dipendenti fino a un reddito da lavoro di 25 milioni e che lo stesso valore debba essere assunto per chiedere, attraverso l’imposta negativa, una risposta per i pensionati che risultino incapienti sul piano delle detrazioni fiscali. Un ulteriore perla sono i provvedimenti sul sommerso presentati dal governo che hanno il carattere di premiare sostanzialmente quella parte di irregolarità intermedia, quella che viene in gergo chiamata il grigio, e non di stimolare davvero l’emersione di ciò che è rimasto in nero per tanto tempo. Per questo possiamo affermare che un provvedimento che avesse contemporaneamente un vantaggio per i lavoratori dipendenti e uno per le imprese, che abbatte il costo del lavoro, potrebbe avere in alcuni territori e per alcuni settori un’efficacia di gran lunga superiore a quella di norme contorte e inefficaci. L’1,7 di inflazione programmata è inadeguato perché è lontano dai valori dell’inflazione reale, con l’effetto di spostare sistematicamente sul recupero dimensioni che sono superiori a quelle iniziali della richiesta contrattuale. Dobbiamo riaffermare che, nella contrattazione collettiva, il nostro riferimento rigido resta la difesa del potere d’acquisto e, dove è possibile l’utilizzo dell’andamento positivo del settore, come valutazione autonoma (soprattutto da parte delle categorie) che tiene in equilibrio e rafforza i due livelli di contrattazione. Cari compagni e compagne è forte e esplicito il tentativo di isolarci, da parte di Governo e Confindustria. Emergono i tratti autoritari di un governo che cercherà di limitare spazi e agibilità democratiche. Noi dobbiamo insistere nel nostro richiamo alla qualità del lavoro e ai diritti. La qualità del lavoro è la base fondamentale si cui deve essere giocata la competitività delle imprese, oggi, nel mercato globale. L’innovazione tecnologica è una componente importante delle possibilità di sostegno delle imprese, ma essa deve essere accompagnata dalle innovazioni organizzative, dalla qualità delle persone che lavorano e dalla qualità delle condizioni di lavoro. È necessario lanciare questo importante messaggio all’intera società, a tutte le persone che la compongono, oggi bombardate da messaggi liberisti che tendono di indebolire un’azione di difesa di diritti fondamentali della civiltà, irrinunciabili per il sindacato, ma anche per il consolidamento di uno sviluppo sano e autosostenibile. Cari compagni e care compagne, avviandomi alla conclusione voglio richiamare, brevemente un punto delicato: la vicenda di Genova, i sui contenuti ed il rapporto tra azione sociale, democrazia e legalità. Abbiamo un sindacato, nella polizia, che è piccolo. Ha subito una scissione, alla quale sta reagendo, ma è l’unica organizzazione che oggi tiene ferma, all’interno delle forze di Polizia, l’idea della democrazia e dei principi costituzionali. Noi dobbiamo impegnarci in uno sforzo straordinario per aiutare il Silp. I prossimi mesi saranno complicati per noi, ma per loro lo saranno ancora di più, con il rischio che si blocchi un processo di democratizzazione al quale noi teniamo particolarmente e che è nato in anni lontani, in larga misura, per spinta della Cgil. Abbiamo deciso che il nostro Congresso, oltre ad aprire una Finestra di discussione sui temi della politica internazionale e della Pace, dedichi una specifica riflessione sui temi della sicurezza e dell’ordine pubblico. Nelle giornate che dedicheremo a questa riflessione, chiedo al nostro quadro attivo, una partecipazione convinta. Il carattere, la qualità e l’attenzione che spenderemo in quelle occasioni di riflessione e di confronto sono importanti per la tenuta democratica del nostro Paese.
Pescara 21 Febbraio 2003.