Curioso destino quello dei leader del sindacalismo italiano del Novecento. Tanto conservano un minimo livello di notorietà i capi politici del socialismo e del comunismo, da Turati a Nenni, da Togliatti ad Amendola, quanto restano più sfocati i nomi di un Bruno Buozzi o di un Di Vittorio. Tutto ciò nonostante l’importanza del contributo del sindacalismo che, nell’età giolittiana e poi in quella repubblicana, non fu certo inferiore, nell’alfabetizzare politicamente le masse (e persino nel nazionalizzarle), a quello dei partiti politici. A questo destino di oblio non sfuggono Fernando Santi, Agostino Marianetti e Guglielmo Epifani importanti esponenti del sindacalismo socialista, tutte e tre segretari aggiunti della CGIL , L’ultimo ne è stato Segretario Generale. I contributi, vanno dagli anni del Patto del Lavoro (spesso sbrigativamente definito di paternità dell’allora segretario della CGIL, Di Vittorio oscurando il ruolo essenziale di Santi) agli anni tormentati dell’elaborazione del centrosinistra, del confronto sul costo del lavoro e della Autonomia sindacale fino, a quelli più recenti sulla partecipazione democratica alla Programmazione ed alla Concertazione. Il ruolo dei socialisti sulla crescita dei temi è stato importante , ma poco studiati e conosciuti. Un esempio è quello da attribuire a Santi che , in una storica riunione della segreteria, nel suo discorso di commiato, tenuta durante il VI Congresso dell’organizzazione sindacale nel 1965, lanciò l’idea-forza di un sindacato realizzato nel solco del concetto di «riformismo». Un disegno politico, come sappiamo oggi di lunga lena e con percorso lento, ma “proposto” a quella CGIL, anche nella sua parte vetero comunista del tutto ostile, che non ancora riusciva ad abbandonare le sirene di una organizzazione a trazione “leninista” . È difficile trovare nella storiografia della Cgil una analisi sui tempi e modi per l’affermazione di questo punto di vista. Su come è stato coltivato e fatto crescere nel Sindacato e nella Cgil, dalla componente socialista naturale erede e portatore di questa concezione «umanistica» del sindacato. Una Cgil organizzata come casa a disposizione della democrazia. Stop alle “storiche cinghie di trasmissioni», ma perseguita solo con la sua «autonomia», va da sé dalle forze economiche, ma anche dai governi e dai partiti politici , a partire dal PCI e dal PSI. Un sindacato autonomo, riformista incentrato su una concezione «gradualistica». Le conquiste vengono guadagnate giorno su ogni giorno. Va da sé che questo filone di pensiero «riformista», era influenzato da un altro grande socialista Riccardo Lombardi assertore di una azione politica , e sindacale, basata su programmi nei quali l’azione delle riforme doveva incidere sulle «strutture», secondo il concetto assai in voga in quegli anni di «riforme di struttura». Queste idee dovevano crescere in un contesto sindacale composto, da uomini e donne, dove le battaglie tra socialisti “riformisti” e comunisti “leninisti!” erano allora aspre e dure. Eppure queste discussioni, via via si attenuavano, per l’affievolirsi delle differenze e, soprattutto per l’abbandono delle rigidità sul piano dottrinale e propagandistico, da parte comunista. Naturalmente questa “kermesse” politica veniva affievolita dai problemi posti dal quotidiano. C’era, nel mezzo, una lotta da fare per il miglioramento delle condizioni di lavoro, della riduzione della durata dell’orario, dagli aumenti del salario. Tutti i temi che non potevano essere “rimandati” ad un bel mondo futuro ma ad un operare laico. Il lavoro dei socialisti nel Movimento Sindacale si avvia con Santi che era, tra l’altro allora, dopo Riccardo Lombardi, il principale esponente del cosiddetto «autonomismo». Si afferma una proposta che supera, denunciandoli, gli errori del «vecchio riformismo», sostenendo un diverso riformismo. In pratica un modello politico basato sulla introduzione di elementi di socialismo nelle sfera economica e dei rapporti sociali, per modernizzare il paese e il sistema di relazioni sindacali con il sistema imprenditoriale. Le «riforme di struttura>> che però nella sfera del sindacato, danno una diversa vita, alle divisioni tra «socialista» e «comunista» , con accenti differenti da quelli di chi opera nell’agone dei partiti. Accenti che verranno ripresi in diverse iniziative e Convegni organizzati dalla componente socialista sui temi della Programmazione e della Democrazia Industriale che troverà in Agostino Marianetti, uno degli assertori più tenaci, durante la sua partecipazione alla Segreteria Nazionale della Cgil come Segretario Aggiunto. Una componente socialista che opera , all’interno della organizzazione, sui temi dell’autonomia e delle riforme collegate allo sviluppo di una Democrazia Industriale evoluta, moderna ed Europea. In fondo funzione di un sindacato confederale, non corporativo, è raccogliere quello che cresce nel mondo del lavoro e della società civile, per costruire un agire collettivo, per una alternativa economica e politica. Finalmente, in questo modo, si afferma un ruolo più consono dei corpi intermedi, che portano la domanda di riforme al mondo politico e delle Istituzioni. L’esatto contrario della “stucchevole” critica di fonte comunista che spesso accusò la proposta delle riforme di struttura, proposte dai socialisti, di cadere nel peccato di «riformismo dall’alto». Banale critica che addirittura omette il ruolo del Parlamento che, fino a regime diverso, promulga le riforme promulga come pretende una democrazia rappresentativa. Il tema assume un suo fascino, tra i socialisti, alle prese con la messa ai margini delle proposte all’interno del partito socialista sulle Riforme di Struttura. Da rammentare che Lombardi, nel frattempo elaborava il suo famoso ossimoro: riformismo rivoluzionario. Quindi le élite, devono essere costantemente collegate alla base, proprio per essere questa diversificata, complessa, plurale, le cui passioni e i cui interessi non possono perciò mai essere completamente «incarnati» dai vertici. Nasce l’attualità di una idea di un sindacato inteso come attore collettivo produttore di educazione e di partecipazione alla democrazia, costruttore di cittadinanza, per questo aperto ad accogliere figure sociali sempre nuove, risultato delle trasformazioni di quelle «strutture» economiche, sociali, ma anche culturali e mentali. I mille soggetti utili alla realizzazione della democrazia e della Programmazione Economica, da mobilitare permanentemente, concetto espresso costantemente da Agostino Marianetti , raccolto pienamente da Luciano lama, durante la sua leadership nella Cgil. Una inversione forte di tendenza che però, non viene citata nella storiografia come opera della azione costante e della iniziativa politica dei dirigenti socialisti. Gli storici, ma anche nelle sue manifestazioni la CGIL, ha una discutibile tendenza ad “oscurare” l’operato e il dovuto riconoscimento a tutti quei dirigenti che da Santi a Marianetti, passando per Ottaviano Del Turco , fino a Guglielmo Epifani , ci hanno portato lontano da quella impostazione presente nella CGIL, indicato nel suo discorso di commiato da Fernando Santi. Un lavoro decisivo vista la strada fatta da quell’epoca nella quale si guardava con freddezza, nella sinistra italiana, e anche nei socialisti, si guardava negli anni Sessanta al tema dell’unità europea. Sono stati, da Santi in poi i dirigenti socialisti, i fautori del passaggio dal sistema delle relazioni di una Cgil, ricca di comunisti legate alle varie radici internazionaliste del Federazione sindacale mondiale, in sigla FSM (in inglese World Federation of Trade Unions … a forte stampo comunista rientrante nell’orbita d’influenza dell’URSS alla costruzione di un sistema di relazioni sindacali più utile alla realizzazione di una Europea sociale e politica ee sulla fondazione di una sorta di «sindacato europeo». Ancora oggi è del tutto da rifondare, il ruolo del sindacato come corpo intermedio, produttore di forme di legittimità che integrano ed allargano quella «statualità» che ha perso sempre più il proprio baricentro nazionale, ma anche in grado di affrontare la crisi di rappresentanza dei partiti politici italiani. In conclusione, bisogna chiedersi ancora oggi in questa fase di crisi sanitaria, se le riforme di struttura di Lombardi e di Santi, per la realizzazione di una “Società diversamente ricca, perché più ricca” non devono trovare la loro praticabilità. In concreto la crisi in atto, sociale economica e produttiva, ma anche le scelte sull’utilizzo dei fondi del PNRR chiedono forme di legittimità e di decisione, di controllo e di governo nella sfera economica e sociale. Una nuova stagione della concertazione e della partecipazione allo sviluppo produttivo, economico e sociale. A tale fine è colpevole non rileggere proprio nella iniziativa politica di Marianetti la chiave per comprendere l’utilità di riflettere su quanto elaborato nel periodo di un’alta esperienza, posta con argomenti nel dibattito politico della Cgil, la convinta partecipazione ideale e progettuale di un sindacato riformista ai tentativi di innovazione del paese ai tempi del primo centrosinistra. I socialisti diventano, protagonisti di una battaglia politica e sindacale per l’affermazione di una impostazione moderna nella Contrattazione e democrazia sindacale, per l’affermazione di una dinamica democrazia industriale ed economica, democrazia sociale e politica in un quadro di rapporti convintamente unitari sia in CGIL e con le altre organizzazioni confederali. In conclusione proseguiamo nella nostra opera di “revisione” degli strumenti interpretativi utilizzati da grande parte del gruppo dirigente della Cgil, nazionale e locale, nella lettura dei grandi avvenimenti, delle conquiste e delle modernizzazioni che hanno riguardato il mondo del lavoro italiano e regionale. È questo l’obiettivo che ci poniamo, da oggi in poi, magari anche attraverso una associazione culturale.