Il Convegno odierno offre un’occasione propizia: la possibilità di discutere su un tema come quello dell’Economia Sociale e della sua importanza, nel contesto  dell’Abruzzo che cambia, al di fuori del recinto degli addetti e per me al di fuori del recinto sindacale. Un tema, già importante affrontato nell’ormai leggendario libro Delors, studiato con attenzione da sociologi ed economisti europei ed americani che non riesce, però, a trovare lo spazio meritato nel dibattito politico abruzzese. Oggi possiamo provare la riattivazione della curiosità intellettuale, tentare un percorso in grado di condurre il dibattito sulla stessa lunghezza d’onda raggiunta dall’attenzione sui Patti, sui Contratti d’Area e sul governo della fuoriuscita morbida dall’intervento straordinario. I protagonisti si muovono  sulla base della considerazione che la crescita, che negli anni passati ha coinvolto l’Abruzzo, non ha avuto il tempo di rafforzarsi e consolidarsi, non ha stabilizzato i posti di lavoro. Sono naturalmente d’accordo.  Ma al tempo stesso è necessario aprire l’altra riflessione, per non correre il rischio di riaprire il pianto, sugli indici di occupazione, tra qualche anno.   La storia, sostenuta da autorevoli fonti economiche e statistiche (cito fra gli altri il CENSIS), ci ha insegnato, che in Abruzzo, le risorse rastrellate con l’intervento straordinario a malapena hanno sostituito quelle previste dall’intervento ordinario. Questa situazione ci svela il già noto: la svolta, per l’Abruzzo, deve iniziare con una prima, e grande, battaglia riformista sulla funzionalità della Pubblica Amministrazione, della sua trasformazione per  realizzare un  grande luogo di progettazione e di esecuzione rapida delle idee e delle proposte.  Mi permetto solo di sottolineare, leggermente fuori tema, che la stagione della concertazione ha questo primo grande obiettivo, per realizzarne un secondo, e non per importanza, un significativo aumento dell’occupazione. La qualità dei presenti, a questo convegno, mi esime dalla necessità di sottolineare l’importanza della questione occupazione per la gente, per le famiglie e per i giovani, per porre subito alcuni quesiti. Può l’Economia Sociale essere il punto di svolta di un Abruzzo che cambia? Ancora. Quali sono le nuove dinamiche da introdurre nello sviluppo sociale, economico e produttivo dell’Abruzzo coinvolto, come il resto del paese, in un profondo processo di modifica del suo sistema tecnico-economico ?

I quesiti posti muovono da una considerazione ormai comune a tutti noi: le nuove tecnologie, i processi di innovazione produttiva, determinano effetti distruttivi, sulla occupazione, sia nei settori superati che nei settori in piena espansione tecnologica.  Gli economisti parlano di una storia che si ripete: negli anni 20’ e 30’, di questo secolo, la produzione su larga scala di beni di consumo durevole distrusse una quantità notevole di occupazione. Solo successivamente l’evoluzione dello sviluppo e dei costumi, unitamente ai processi di trasformazione culturale e sociale, hanno via via modificata la situazione determinando quella che gli Economisti chiamano : Nuova Domanda.

Sulla base del ragionamento condotto finora è facile comprendere come le nuove tecnologie della informazione e della comunicazione, pongono un problema analogo a quello vissuto negli anni 20’ e 30’: una forte distruzione di occupazione, superabile solo  rendendo effettiva una domanda di nuovi prodotti e soprattutto di nuovi servizi.

Le politiche di sostegno alla ricerca, alla formazione professionale e alla flessibilità della forza lavoro sembrano, quindi, del tutto insufficienti in mancanza di una domanda strutturata. Una domanda che molti economisti ritengono organizzabile in tempi lunghi, i cui esiti dal punto di vista della occupazione e del lavoro non sono considerati immediatamente fruibili dall’insieme degli attuali giovani disoccupati. Si impongono, quindi, nuovi segmenti di  Politica Ecomica, con  al centro l’occupazione legata, però, alla crescita di civiltà, del benessere e  in grado di canalizzare le risorse dai settori ad alta produttività al settore dei servizi. In tale scenario è possibile affrontare la disponibilità di tempo libero,  ottenibile anche attraverso la riduzione del tempo vincolato della attività lavorativa e la modifica degli orari dei servizi cittadini, per favorire la crescita della domanda dei servizi e la occupazione relativa. Lo stesso approccio culturale delle nuove generazioni verso il lavoro, l’istruzione, la famiglia e le relazioni sociali, nessuna delle quali accettano di sacrificare a discapito di altre, propone  una politica di diversificazione del tempo di lavoro.  Gli esperti parlano di riduzione del tempo di lavoro e riallineamento tra i tempi sociali per:

  • favorire una maggiore disponibilità di tempo per il consumatore, alimentando occupazione nei nuovi servizi richiesti;
  • redistribuire le opportunità dei lavori tra i sessi e le generazioni;
  • proporre un nuovo modello di società caratterizzato da un più diffuso benessere sociale e da uno sviluppo più equilibrato della personalità.

Sono questi i temi alla base della Economia Sociale e del suo potenziamento  come  strumento  per  aumentare  l’offerta di servizi alle famiglie ( anziani, bambini, giovani in difficoltà, miglioramento dell’ambiente e qualità della vita ) e alla collettività che il mercato non è oggi in grado di soddisfare.  Questa scelta di impegno sul tema della Economia Sociale significa non abbandonare l’obiettivo della piena occupazione. In parole semplici gli interventi di sostegno alla produzione industriale, alla ricerca, alla formazione ed ai settori economici produttivi, restano fondamentali per la produzione di maggiore ricchezza e di risorse, ma gli aumenti di  occupazione non possono che essere prodotti da scelte ed investimenti diversi in settori nuovi. È del tutto ovvio dichiarare che il sostegno ai settori economici e produttivi e quello ai settori nuovi, non devono essere alternativi, ma complementari. Sono consapevole della necessità e della difficoltà nel conquistare a questa tesi molti interlocutori, una grande parte dei poteri istituzionali e non, compresi i poteri del mondo del lavoro e sindacale. Infatti è  molto più facile continuare lungo i vecchi percorsi, proporre, una stagione si un’altra no, interventi di emergenza, con leggi e leggine, sul fronte dell’occupazione, che somigliano più ad una pratica assistenziale, che ad un progetto organico di crescita e consolidamento dei posti di lavoro. Giova però ricordare, la collettività abruzzese ne è già consapevole, che la perdita costante di posti di lavoro è accompagnata da rischi forti di perdita della cittadinanza, da ampli fenomeni di lavoro nero e da una caduta dei livelli di democrazia. Per questi motivi, ritengo opportuno,  esprimere una proposta sul tema assegnatomi, senza esimermi dall’esprimere un suggerimento, anche se appartenente al campo della politica, un terreno per  me meno congegnale: la fase conclusiva della  legislatura regionale richiede una proposta politica di profilo alto, che superi la tendenza in atto, nello schieramento di Abruzzo Democratico, a magnificare le cose buone fatte o da fare, alcune delle quali appaiono positive solo sulla carta. In questa fase conclusiva ritengo essenziale, al contrario, proporre una battaglia di grande trasparenza che concordi  con gli abruzzesi l’inizio di una nuova fase dello sviluppo, il riavvio di una crescita, stabile e duratura e il  rafforzamento della struttura produttiva ed economica,  con lo spirito di chi sa, però,  che  la crescita è raggiungibile attraverso interventi di sostegno nei settori esposti alla concorrenza internazionale (industria, servizi, terziario, edilizia), per la produzione di maggiore ricchezza, ma con la consapevolezza, però, che questi interventi, da soli non si tradurranno in maggiore impiego. È  necessario, e i temi di sviluppo sottesi ai contenuti dell’Economia Sociale sono là a richiederlo,  coniugare al riavvio della crescita altre politiche, in grado di produrre un nuovo scenario, favorevole allo sviluppo dei posti di lavoro e utili alla rimozione della stagnazione dei consumi.  Punti essenziali di questa politica sono l’aumento dell’offerta di servizi, come già detto, determinate dalla disponibilità di tempo libero, dalla modifica degli orari dei servizi cittadini e dalla diversificazione del tempo di lavoro,  dei servizi alle famiglie con redditi bassi, agli anziani, ai bambini, ai giovani in difficoltà, unitamente a politiche di miglioramento dell’ambiente e della qualità della vita, soprattutto nelle zone interne, nella regione dei Parchi. In questo modo le amministrazioni locali, sostenute da mirate politiche di sostegno nazionale e regionale, possono incentivare  nuovi lavori ed alimentare occupazione qualificata.  Una scelta che richiede incentivi, formazione e guida a nuova imprenditoria.  Pensare che questo nuovo mercato del lavoro  si organizzi da solo è però pura miopia, infatti esso è solitamente incapace di prevedere i propri bisogni, mentre l’interesse si sviluppa solo quanto il reddito si realizza  in tempi brevi. Ma Economia Sociale significa agire, anche dal lato della organizzazione della domanda dei servizi e dal lato della organizzazione della utenza, chiedendo alla collettività abruzzese se essa vuole partecipare ad un più grande processo di trasparenza e democratizzazione delle Istituzioni. Questa riflessione deve essere inserita nell’età della cosiddetta globalizzazione, dobbiamo infatti ragionare dello sviluppo della produzione dei beni e servizi su due piani: quello dei beni e servizi esposti alla concorrenza internazionale e quello dei beni e dei servizi per i quali vale esattamente la condizione opposta. Non si tratta di mettere in campo la pura e semplice rivendicazione di un aumento dei servizi sociali, seppure in Abruzzo siano largamente carenti, ma lavorare per mettere in campo le risorse possedute dai soggetti di domanda: gli individui, le famiglie e le comunità locali. Insieme alla necessità di aumento dei servizi sociali, che risponde alla prospettiva di costruzione di nuovi mercati del benessere e di qualità sociale[1], riteniamo importante che essa venga accompagnata da un originale ripensamento del tema dell’Economia Sociale[2],  sul quale bisogna lavorare per tempo. Non lontana, ritengo, visto che discorro in una casa socialista, dalla cultura espressa per tanto tempo da quest’area di scuola politica sui temi dell’Autogestione. Un ambito nel quale agiscono organizzazioni che si caratterizzano per la circostanza di fornire prestazioni a soggetti  diversi da quelli che ne  compongono la base sociale [3] oppure organizzazioni che presentano la caratteristica opposta e configurano esperienze di aggregazioni di bisogni e loro soddisfazione attraverso  l’uso di un mezzo comune[4].  Queste organizzazioni appartengono ad un segmento dell’Economia Sociale che si affida al risultato e alla necessità di realizzare utili o, più in generale, alla valorizzazione del capitale investito nella loro attività. Vale la pena, però, riflettere anche all’alto valore aggiunto, dal punto di vista della crescita democratica e della disponibilità delle risorse, dato dal lato della domanda cui le politiche di offerta pubblica sono rivolte. È il caso dei programmi di Ospedalizzazione e/o di Assistenza Domiciliare, nei quali si può evidenziare la relazione tra istituzioni e famiglie, inseriti in una vera e propria Rete dei servizi, senza possibilità di separatezze. L’intervento pubblico, dal quale non si può prescindere, per ovvi motivi legati ai mezzi tecnici e professionali richiesti dalle situazioni che si devono affrontare, si aggiunge al contesto domestico che mette in giuoco risorse proprie che vanno dallo spazio residenziale, all’assistenza compresa quella affettiva. Naturalmente questa situazione libera risorse diverse e ne moltiplica altre: basti pensare alla riduzione dei costi  sopportati dalle istituzioni per il trattamento di ogni caso e alla possibilità di riutilizzo, delle risorse liberate, per il trattamento di più casi. Si potrebbe obiettare che il maggiore onere ricade sulle famiglie, ma è ben diverso dai maggiori oneri che già vengono affrontati o dovranno essere affrontati, in termini di prelievo sui redditi monetari, a fronte di un aumento dei casi trattati in regime ospedaliero [5]. Certo un diverso rapporto tra istituzioni, in questo caso sanitarie, e le famiglie richiedono veri e propri protocolli di comportamento, dove devono essere precisati indirizzi, norme, regole, qualità e quantità, una questione complessa, ma interessante dal punto di vista della democrazia dal basso, dell’Autogestione dei Servizi e del welfare della responsabilità condivisa. Attraverso il percorso indicato, il settore sanitario che è stato scelto solo per comodità di esempio, è possibile una  ipotesi di “Economia Sociale”, che presenta qualche motivo d’interesse anche a fronte di una risposta necessaria ai fallimenti del mercato e dello Stato. Un percorso che non ha l’intenzione di mettere in discussione l’autenticità delle scelte di servizio delle “imprese sociali”, ma l’ambizione di proporre una risposta organizzata dai soggetti della domanda. Quella che amo definire Economia delle relazioni: tra soggetti, tra soggetti ed istituzioni, tra soggetti ed ambiente circostante. Riflettere sul ruolo dell’Economia Sociale nell’Abruzzo che cambia, può non essere una fuga intellettuale, anche tenendo conto di una realtà territoriale, storica ed ambientale caratterizzata  da importanti settori  e ricchezze naturali (Turismo, Artigianato, Parchi, etc.) che  richiedono un analogo ripensamento e l’attenzione, che mostriamo oggi,  alle risorse intellettuali e naturali presenti.

Grazie per l’attenzione.

 

[1] Claudio De Vincenti , consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  ha proposto uno specifico strumento di intervento – il buono servizi – la cui adozione si presta ad essere negoziata anche a livello locale.

[2] Fondazioni, associazioni, comitati, consorzi e cooperative, enti morali gruppi organizzati di vario tipo, mutue costituiscono il  complesso mondo dell’Economia Sociale, anche se bisogna sempre fare attenzione al rispetto delle ragioni costitutive.

[3] Ad esempio associazioni di insegnanti che svolgono attività di sostegno scolastico in particolari aree di disagio sociale.

[4] Associazioni che svolgono attività turistiche, sportive o culturali per i propri membri.

[5] Si potrebbe anche affermare che “Moltissime famiglie, infatti, non possiedono redditi monetari che possano essere incisi più pesantemente per  sostenere livelli di spesa pubblica più elevati, mentre può ben darsi che possiedano il tipo di risorse “reali” che è richiesto dall’ipotesi di ridisegno dei programmi di Welfare esemplificata dal caso degli interventi sanitari domiciliari. (Alessandro Montebugnoli).

Di Franco Leone

ex Segretario Generale della Cgil Abruzzo - ex Seg. Generale Cgil Pescara e dello Spi Regionale.