Nella foto Gianni Chiodi Presidente Giunta Regionale Abruzzo (2012)

 La Segretaria Nazionale della Cgil Camusso ha chiesto al Governo di fare: la prima mossa. Questa è la risposta alla proposta, fatta alle parti sociali dal Presidente Monti,  per un nuovo patto utile al riavvio della produttività e della funzionalità del sistema paese. Dietro questa richiesta, ci sono la mancata condivisione di molte delle scelte passate del Governo, ma anche  il timore che per il raggiungimento dell’obiettivo si perpetuasse la teoria della “diseguaglianza come fattore di crescita”. La stessa ossessione, sull’articolo 18, colpevole dello stallo occupazionale italiano è il “codazzo”, in materia di diritti delle persone, della teoria della diseguaglianza sopra esposta.
Condivido l’atteggiamento della Camusso, d’altra parte sono convinto, da sempre, che prima di ragionare sui Patti, bisogna innanzi tutto chiarirsi le idee con  una lettura comune sulla portata reale della crisi e degli effetti diversi che essa provoca sul benessere della collettività. Non si muove con questa preoccupazione l’odierna intesa della Consulta regionale per il Patto per lo Sviluppo, sottoscritta anche dalla Cgil Abruzzo, quasi a cancellare un elemento culturale del passato recente,  contrassegnato da una battaglia di opposizione sociale alle tante  scelte sbagliate in materia di programmazione, diritti e di politica industriale. Negli anni 2001-03 abbiamo privilegiato il tentativo di conquistare la nuova Giunta regionale di centro-destra, ad una analisi impietosa sullo stato reale dell’economia abruzzese e delle sue prospettive. La risposta fu allora deludente e la Cgil rispose proclamando uno Sciopero da sola, ma oggi, ancora una volta il centro-destra,  diviene anche più incosciente, visto l’accalorarsi, da parte dei nuovi governanti, a dimostrare, una  inesistente immagine rosea di un Abruzzo meritevole di convegni sulle pratiche effettuate su: Risanamento e Sviluppo. Passa il tempo, ma la tentazione ad attribuirsi meriti inesistenti, su crescita e sviluppo regionale, smentiti da dati economici ed andamento del sistema produttivo del tutto negativi, resta inalterata, perpetuando la cantilena di un Abruzzo già pronto alle più rosee prospettive, mentre si mortifica con tagli scriteriati il suo assetto di servizi socio-sanitari. Con lo sciopero generale  del Febbraio2003, si inizio un’azione isolata da parte della sola CGIL, ripetuta con CISL e UIL nel  2004, una volta che quest’ultime presero atto del desolante “far niente”, della Giunta regionale. È  doveroso ricordare che  l’allarme lanciato riguardava, e riguarda ancora oggi, la necessità di un esame sul modello di sviluppo abruzzese, che una volta raggiunto il massimo, ha imboccato la via del lento declino fino a manifestarsi, in questi anni, con fenomeni di espulsione della forza lavoro, di perdita di filiere produttive e di non partecipazione alla distribuzione di risorse, sulle dotazioni infrastrutturali e dei servizi, sul Tavolo Nazionale dei grandi Player pubblici e privati. Il tutto condito dalla perdita di presenza sul territorio regionale dei grandi gruppi ex-pubblici, “esodati” con tutto il bagaglio di conoscenza, cervelli e capacità tecnica professionale.   Sono questi i motivi  che convincono, sull’utilità del superamento, come nel caso abruzzese, di un’idea di Patto per lo sviluppo, che non riesce a piegare i modelli di comportamento del Governo regionale, per addivenire ad  una nuova alleanza fra impresa, sindacati, politica, società civile, famiglie, che premi il lavoro, gli imprenditori e penalizzi gli speculatori. L’Abruzzo, funestato da continui  eventi inerenti alla legalità del suo sistema istituzionale, nel campo della erogazione dei servizi e dell’indirizzo nell’uso delle risorse, deve liberarsi ed uscire da questa trappola di povertà sociale ed economica nella quale è caduta, rilanciando una nuova stagione di virtù civili e un nuovo patto, per generare la “piccionaia” luogo della  creatività e della collaborazione per  la crescita economica. Interrogarsi  sul perché, negli ultimi venti anni  la quota del reddito prodotto destinato ai produttori ed al lavoro è diminuita molto rispetto alla quota andata alle rendite finanziarie e alle rendite in generale e se la povertà relativa aumenta, in Abruzzo come in Italia, questa riguarda  soprattutto quella delle famiglie giovani, è facile capire che i consumi ne risentono seriamente, e con essi la crescita della regione. In una società post-moderna e frammentata, dove  servizi e diritti di base sono sempre meno garantiti a tutti, e invece occorre iniziare ad affermare con forza che anche i diritti sociali ed economici debbono diventare presto diritti, universali e trasversali, tra i soggetti produttori,  i  nuovi poveri, gli immigrati, i vecchi non autosufficienti, senza rete famigliare, alle famiglie giovani con bambini: basterebbe solo il tema degli asili nido municipali e le enormi differenze tra le diverse regioni del Paese (che si riflette anche sulle opportunità di lavoro e di carriera delle giovani madri, ancora molto svantaggiate in Abruzzo).  E senza questo aumento della uguaglianza sostanziale tra i cittadini la crescita non può riprendere, perché manca non solo la domanda di beni di consumo, ma non si afferma la forza partecipativa dei giovani, senza dei quali nessun Paese è mai cresciuto.

 

 

Pescara 14 settembre 2012.

 

Di Franco Leone

ex Segretario Generale della Cgil Abruzzo - ex Seg. Generale Cgil Pescara e dello Spi Regionale.