Da sempre esiste un problema di toni, nella comunicazione delle opinioni e delle idee che sovraintendono l’azione di qualsiasi forza sociale. L’uso dei “ toni morbidi “, in voga dopo l’avvenuta stipula del Patto di Sviluppo, tra tutti i soggetti politici-istituzionali e forze sociali, sono l’evidenza attuale, naturalmente non ritengo utile sostituirlo con lo scontro di piazza, l’insurrezione e/o la rivolta ( soluzioni alle quali, da sempre mi sento culturalmente estraneo), ma occorre pensare a una straordinaria iniziativa e mobilitazione generale, per richiamare tutto il “nostro popolo” alla necessità di una svolta riformista nelle politiche abruzzesi. Comprendo che le divisioni, a partire da quelle sindacali, non aiutano a costruire il sostegno democratico e partecipato, alla svolta richiamata, ma, perbacco, è letteralmente inaudita l’idea che la “nostra gente” non venga chiamata, come ci insegna una scuola antica (ed anche abbastanza severa) , a superare l’uso dei mezzi termini, per rendere esplicite le opinioni in campo ed avvicinare le disparità, quando queste non siano viziate da remore di carattere ideologico o da altri interessi. Il punto è semplice e, infatti, ruota intorno ad una semplice domanda: dopo mesi che associazioni imprenditoriali e sociali, denunciano sia l’inadeguatezza operativa, che dei contenuti, del Patto per lo Sviluppo è possibile restare impassibili di fronte alla “pochezza programmatica”, ma anche alla palese assenza di indicazioni strategiche contenute nell’adottato Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale 2012-2014 ?. Il punto è che il DPEFR è uno strumento utile quando la politica e le forze imprenditoriali e sociali una volta individuati gli obiettivi, si misurano con la dirigenza regionale che ha il compito di tradurre in capitoli e risorse impegnate le scelte effettuate. Ma è troppo evidente che questa procedura “lapalissiana” cozzava con la propaganda politica, contenuta nel DPEFR, tesa a dimostrare la consistenza, ed il valore, delle dinamiche del cosiddetto risanamento del sistema sanitario, che mira al cosiddetto punto di pareggio. Ma i risultati veri, noti quotidianamente agli abruzzesi che si rivolgono ai servizi sanitari, sono frutto di tagli quantitativi ed indifferenziati (come dimostra l’andamento dell’accresciuta mobilità passiva dell’Abruzzo verso le altre regioni italiane). Non trovano spiegazione (o meglio giustificazione), nel DPEFR, il perché della crescita della mobilità negativa, ma anche l’evidente aumento del saldo della spesa sulle risorse disponibili, bruciando di fatto ulteriori disponibilità per le politiche di sviluppo. Il documento programmatico dichiara che, per l’anno 2012, l’incidenza della spesa sanitaria sulle risorse disponibili, inclusa la manovra dei piani operativi per 150.60milioni di euro, è pari all’87,22%. Una incidenza che cresce in barba a tutte le dichiarazioni sulla bontà del controllo della spesa sanitaria, togliendo, per questa strada, risorse allo sviluppo ed alle attività socio-economiche. Naturalmente tutti hanno ragioni di protesta, perché non c’è una scelta politica condivisa, un obiettivo congiunto ( una illusione visto che nemmeno il pluri-citato Patto per lo Sviluppo lo ha fatto), per dire lungo quale strada l’Abruzzo intende perseguire un proprio futuro e darsi una misura strategica ed opportuna, per riagganciarsi ad una prossima favorevole congiuntura nazionale ed internazionale. Il problema è che il DPEFR, e non è una novità nella pochezza politica abruzzese, non è considerato uno strumento di lavoro, con una sua “anima”, ma un mezzo mediatico di propaganda fino al punto di costruire un miracoloso “guazzabuglio” sulla crescita ( si fa per dire) del PIL abruzzese. Si realizza una miscela tra dati ISTAT (vedi i dati esposti nel periodo 2009-10) e i dati rapporto SVIMEZ 2011, per omettere dati e previsioni sui dati del PIL negli anni 2010 e 2011. Ma, ad onore del vero, l’unica certezza che ci offre questo DPEFR, è che nel nostro futuro, oltre ai Fondi FAS ed Europei, non ci saranno altre risorse da destinare agli investimenti per lo sviluppo. Di conseguenza non possiamo solo prendere atto che le risorse sono solo queste, ma occorre a questo punto una chiara indicazione sui tempi dell’utilizzo delle poche risorse a disposizione degli obbiettivi e dell’interesse dell’intera comunità regionale. Ma questo è solo un punto, che suggerisco, utile nel confronto istituzionale, per abbandonare il terreno delle “diplomatiche” discussioni e trasformare i contenuti della Vertenza Abruzzo, in una Piattaforma rivendicativa nei confronti di una Giunta poco concludente ed incerta nelle proprie scelte. Gli altri punti sono:
– Invertire la tendenza alla dequalificazione dei servizi ospedalieri e territoriali, con tagli indifferenziati di servizi, portatrice di una mobilità negativa nei confronti delle altre regioni, lontana dal risanamento del debito sanitario che cresce, con i cittadini e le imprese che continuano a pagare le addizionali maggiorate, mentre vengono dilapidate risorse che, al contrario avrebbero potuto finanziare la nostra qualità sanitaria e lo sviluppo.
– Dare corpo ad un confronto sulla qualità dell’economia regionale che ha mostrato i segni crescenti di crisi e di debolezza strutturale di un sistema incentrato su produzioni tradizionali e a basso tasso di crescita, mentre si riduce la partecipazione nei settori ad alto tasso di innovazione. La Regione, non può soffermarsi solo su secolari dibattiti “di ingegneria istituzionale “, ma darsi un luogo dove si mettano a sistema le risorse pubbliche e private, con il coinvolgimento del sistema creditizio abruzzese, esistenti e di attivazione di un circuito virtuoso ricerca-innovazione-trasferimento tecnologico per la competitività del sistema produttivo e dei servizi, pubblici e privati.
– Dare una risposta ai limiti perenni dell’Abruzzo in ritardo sulla funzionalità della Pubblica Amministrazione, della dotazione infrastrutturale e dell’avvio di una profonda riqualificazione del Mercato del lavoro, caratterizzato da tutti i difetti noti (scarsa occupazione giovanile, percentuali minime di impiego femminile, etc), che continua a produrre “il Paradosso Abruzzese”: crescita zero, ma occupazione precaria in crescita, il che lascia emergere l’affermarsi di una imprenditoria legata all’andamento di una struttura economica e produttiva debole ed operativa in settori residuali.
– Riscoprire l’entità del danno provocato dal declino della presenza dei grandi gruppi pubblici o ex-pubblici, fornitori di servizi, infrastrutture, reti di importanza vitale per lo sviluppo, come Telecom, Enel, Eni, Agip, Ferrovie, Poste, Autostrade. Si tratta di rivendicare quote certe e quantitativamente adeguate di investimenti, progetti, opere, invertendo la tendenza al ridimensionamento e al disinvestimento, che è costata all’Abruzzo consistenti perdite dirette, tecnologiche, occupazionali e professionali, e in termini strategici, data l’importanza dei prodotti, dei servizi, delle infrastrutture primarie e delle reti che fanno capo a questi gruppi. L’Abruzzo è stato spettatore distratto di un vero e proprio scippo di risorse materiali, intellettuali e di lavoro.
– Pretendere che uno strumento programmatico come il DPEFR, contenga un indirizzo, una volontà decisa nel porre fine alla dequalificazione in atto nel campo dei servizi sociali, basato sulla convinzione che nessun buon servizio può essere reso alla comunità se negli affidamenti ai privati si continua a perseguire l’obbiettivo della massima economicità a discapito della qualità delle prestazioni. La pratica del “massimo ribasso”, nella aggiudicazione delle gare di appalto, mette in sofferenza l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni, mentre i contratti collettivi “pirata” stanno introducendo nella cooperazione sociale abruzzese, un brutale sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici. È paradossale che proprio i servizi indirizzati alla tutela e alla promozione sociale producano essi stessi povertà e sfruttamento dei lavoratori addetti.
Concludendo, sento necessario citare quando detto da Sylos Labini in una conversazione che annunciava un suo scritto sulle diagnosi in elaborazione sulla congiuntura economica mondiale. Parlò di uno strumento definito: i luoghi.
Aree dedicate in cui fare “la piccionaia”, tra EE.LL, Università, Forze Sociali ed Imprenditori che insieme costruiscono incubatori di imprese a partire da piccole idee innovative di cui curano la realizzazione ed il posizionamento nel mercato. Un modo per stare in questa Europa, in questa fase di crisi frutto del cesto velenoso contenuto nella globalizzazione.
MERCOLEDÌ 11 GENNAIO 2012