In un suo scritto Agostino ha citata la definizione che aveva dato di lui Stefania Craxi:  Il “modesto” Marianetti. Una definizione giunta nelle drammatiche vicende che stavano portando alla morte il Partito Socialista ed a qualcuno era venuto in mente di proporlo, come scelta disperata, alla guida di quel che restava del più antico e glorioso dei partiti italiani.

Marianetti ne parla nella sua autobiografia (“Io c’ero”), ma per noi che lo abbiamo conosciuto sappiamo che esiste una superiorità intellettuale nell’essere modesti. Modesto come lo era l’autodidatta a disposizione di una comunità che intende affidarti grandi responsabilità e che perciò deve essere rispettata rinunciando alla facile tentazione di fare la corsa da soli.

La lettura del libro di Marianetti è finita in poche ore, troppo intrigante per me,  una  sorta di racconto troppo avvincente, non solo nelle parti in cui egli ricorda i tanti momenti e i tanti incontri della sua militanza sindacale e politica, contrassegnati da scelte difficili, come gli accordi sindacali contrastati e controversi dei primi anni Ottanta, accompagnati dalla vicinanza autorevole, e sempre amichevole e affettuosa, di Luciano Lama.

Ma nelle pagine troviamo la narrazione del percorso formativo  di un dirigente sindacale. Dino  comincia dalla fabbrica, facendo agli inizi il manovale, in una ditta di costruzioni del piano Fanfani,  poi operaio in una collegata della BPD di Colleferro). Nella sua esperienza, come già mi aveva raccontato non mancava l’esperienza di subire  un arresto, a causa di una sua lotta per ottenere  un diritto sul posto di lavoro, fino a quel momento negato. Ma è descritta anche una bella immagine legata alla fase del suo ingresso nei meccanismi della selezione del gruppo dirigente della Cgil e del Partito Socialista. Un luogo di discussione, con la reggia affidata ai dei compagni più esperti e ascoltati che, saggiate le doti ed il valore del giovane compagno. Cioè un’attivista già segnalatosi per il coraggio e l’intelligenza delle sue prime lotte, viene analizzato e proposto candidato nelle liste del PSI per farlo eleggere  nel Consiglio comunale di Roma.

Attenzione. Stiamo parlando di un mondo, quindi, dove esisteva  un meccanismo che selezionava proprio  i compagni “modesti”  quelli che con  sussiego da Stefania Craxi , non “clienti” o compagni ubbidienti al capo, ma un sistema di partecipazione collettiva che lavorava per mettere nelle mani di persone serie, affidabili, capaci di durata nei sentimenti e nelle convinzioni, il destino, spesso solo le speranze, di tante altre persone modeste che nell’associazione al partito o al sindacato individuavano un’arma di resistenza contro l’arbitrio e perciò non potevano essere lasciate a tutori dall’improvvisato e precario “pedigree” .

Ma è struggente, non riesco a pensare ad un sentimento diverso,  il capitolo dal titolo di “Dalla finestra di casa” che raggruppa in una serie di schede  considerazioni su atti, scelte e politiche di quest’ultimo ventennio. Proprio  il periodo che Marianetti ha vissuto al di fuori dell’impegno politico diretto, spinto violentemente ai margini del campo d’azione da una logica giudiziaria, di quella parte di Magistratura che ha agito a “foto copiativa”   mettendo in piedi un’azione  che non è stata capace di distinguere le persone per bene dai malfattori.

Ma non è stato anche questo uno dei principali motivi per cui è stata privata la cosiddetta II^ Repubblica delle solide esperienze di chi avrebbe potuto guidare l’impresa del rinnovamento.

Marianetti, a mio parere, se ricordo bene questo punto del suo carattere,  ha scritto questa autobiografia non solo per ricordare la sua storia personale  di operaio figlio di operaio, di sindacalista della Cgil e di socialista, ma anche per rientrare, nell’unico modo che gli era possibile, nel vivo della lotta politica, per restituire ad essa quel lievito morale e quella ricchezza di pensiero che gente come lui ci aveva messo dentro nel passato.

Concludo con il racconto che De Rita, ha fatto nel corso di una Tavola Rotonda sul libro di Marianetti .  De Rita  ha raccontato di sapere che alcuni degli indagati degli anni di Tangentopoli, appartenenti al partito socialista di allora, per sfuggire alla pressione di magistrati si erano passati la voce di “offrire”  Marianetti come socialista da colpire, “perché tanto su di lui non troveranno niente”. È tutto qui il nostro caro, onesto, e “modesto” Marianetti.

“IO C’ERO” di AGOSTINO MARIANETTI: LA STORIA

L’autore, con un racconto appassionato ma di grande onestà intellettuale, propone un viaggio nella politica italiana, guardando in particolare ai sindacati e ai partiti della sinistra. Sullo sfondo non manca il privato, ma c’è soprattutto l’Italia del dopoguerra, del miracolo economico, delle lotte e delle conquiste sindacali, del terrorismo, sino all’epilogo di Mani pulite e della scomparsa dalla scena dei partiti che formavano il governo dell’epoca. Dolorosissima, per l’autore, la fine del Psi per l’azione concentrica di settori della magistratura e dell’allora Pci. Un avvenimento che segnò anche la fine dell’impegno politico dell’autore, indisponibile a sacrificare la sua coerenza in altro tipo di partiti o schieramenti. Non manca lo sguardo sull’attuale politica: nell’ultima parte, Marianetti, dalla sua “finestra” guarda con distacco e malinconia a una democrazia che giudica “sofferente”.

Di Franco Leone

ex Segretario Generale della Cgil Abruzzo - ex Seg. Generale Cgil Pescara e dello Spi Regionale.