Una funzione manifestatasi con chiarezza e continuità, interpretata dai principali attori della politica italiana sul­la base della consueta e rassicurante categoria della «supplenza», dunque un’esperienza «eccezionale» e temporanea destinata a costituire un supporto occasionale del sindacato e del lavoro nella difficile transizione politico-istituzionale, economica e internazionale del Paese.

C’è una continuità nella richiesta di ritenere conclusa la esperienza  della «supplenza», fino ad arrivare allo svuotamento del patto concertativi, con la proposta di Dialogo sociale.

Un sindacato dedito ai servizi, trasformato in lobby operativa sul crinale della logica della rappresentanza di interessi settoriali, corporativi e frammentati.

Chiusura all’idea di rappresentanza e di difesa degli interessi generali del lavoro, cambiamento materiale e formale del dettato costituzionale fondato sul valore del lavoro.

Oggi la confusione è ancora più forte grazie agli orientamenti presenti nel Libro Bianco di Maroni, rappresentante dell’ala populista di un governo ostile  di centro-destra.

Lo scontro tra conservazione liberista e populismo, ancora in atto, alimenta la confusione prima richiamata: infatti questo governo stenta a trovare i tempi e la forza per giocarsi l’intera posta contro il sindacato e i diritti del la­voro.

Emerge la pochezza degli avversari politici, impantanati da una spinta del sistema delle imprese, verso un Governo che non produce lo sforzo culturale capace di realizzare la modifica dei caratteri struttu­rali della rappresentanza del lavoro e della «politicità» della Cgil.

Per anni, questa caratteristica, è stato fattore di stabilità e di naturale interlocuzione per i governi nazionali: un più che naturale fattore di coesione sociale e di tenuta del re­gime democratico.

Ed è in questo contesto che agisce   il secondo Governo Berlusconi, memore della sconfitta subita nel 1994, che ispira la sua condotta a furbi atteggiamenti oscillanti tra il massimo dell’attenzione ai problemi del lavoro e dei pensionati, e le  spinte  alla deregolazione dei rapporti di lavoro e dei diritti del lavoro

Non è solo una  incredibile superficialità, fatta di esasperati proclami ispirati a decisionismo liberista «pro-capital e pro-impresa» nell’immediato (pacchetto dei 100 giorni), ma si aggiunge lo zuccherino delle proposte neo-corporative funzionali al consenso elettorale.

Aggiungo, la circostanza non secondaria, che a sua volta la Confindustria, nel suo anti-europeismo mascherato, deve guidare un sistema di imprese non tutte competitive, anzi, indebolite strutturalmente a livello inter­nazionale,  illudendole su possibili recuperi sul piano nazionale.

Ed ecco perché il governo, guidato dalle imprese, i cui uomini sono al governo per garantire il programma proposto da Confindustria, lavora per sanare questa grave frattura,  cercando di imporre una linea di forte compressione del lavoro e dei suoi diritti attraverso la flessibilizzazione estrema del lavoro, la frammentazione territoriale dei diritti e delle tutele, la decontrattualiz­zazione a livello nazionale e collettivo, l’ulteriore riduzione dei differen­ziali economici agendo sul costo del lavoro.

Ovviamente il Dialogo Sociale è utile alla linea di imposizione di uno schema che affida alla politica, al misurarsi nelle sole istituzioni parlamentari, previa esclusione di ogni riferimento alla dimensione sociale.

Il governo e la maggioranza parlamentare, si sentono destinatari di un blocco di interessi coesi, e quindi legittimati all’attuazione del loro  programma eco­nomico e istituzionale.

L’opposizione, se non supera la sua mancata inclinazione alla individuazione di un blocco sociale di riferimento ben definito, si  fermerà  a un confronto esclusivamente parlamentare o di protagonismo mediatico, salvo qualche infortunio morettiano.

Per la verità, qualche suggestione è stata espressa sulla possibile utilizzazione della rappresentanza sindacale come portatore di un conflitto sociale teso alla rot­tura del quadro politico, magari  gestito dalle forze dell’opposizione.

Una ipotesi irrealistica, per noi, che siamo del tutto disinteressati a svolgere ruoli di supplenza o sostitutivi,

A me appare utile riproporre l’idea di una Cgil e il suo ruolo di attore politico auto­nomo traendo questa scelta dalle radici della propria storia e alimentandola con un’intrinseca prospettiva riformatrice, ancorata alla rappresentanza degli interessi e ai valori del lavoro che, nel corso degli ultimi anni, si e consolidata e rinnovata.

Abbiamo fatto bene ad opporre  un vero e proprio progetto politico autonomo distinto e alternativo ad un esecutivo di centro-destra quasi in­teramente retto dalle imprese.

Bisogna veder se questa verrà colta quale occasione per dare linfa  alla costruzione di un’area riformista che assuma con chiarezza un riferimento nelle forze del lavoro e nei ceti economici non arroccati nella difesa del proprio potere e dei propri interessi, al contrario attenti ad una completa valutazione del valore  del lavoro  e delle sue rappresentanze.

Il continuo richiamo alla Innovazione, senza mai definirne la qualità, i contenuti, il valore del ruolo degli uomini e delle donne all’interno di precise  e qualificate ragioni d’impresa, suonano solo come ceffoni agli ineffabili conservatori, provenienti da destra e da sinistra.

La Professoressa Del Trecco, docente di Sociologia della Comunicazione dell’Università di  Teramo ci ha raccontato che  nel  film, anni 20’, Metropolis, gli operai lavorano nel sottosuolo; le loro misere condizioni di vita non sono visibili, non turbano la bellezza della città.

Quegli operai, lavoravano con stupende macchine frutto della innovazione, ideate da un’intelligenza fantascientifica oggi vicina alla realtà, ma guidate da un padrone dispotico mosso dalle sole ragioni della sua impresa.

Evidentemente i processi di flessibilità, non sono <<tout court>> legati, come qualcuno pensa, alla innovazione  ma ad un preciso disegno di dequalificazione del lavoro, ad accrescere quel lavoro invisibile, che è espressione di una condizione di sfruttamento, che purtroppo non si ferma alle immagini in bianco e nero del film Metropolis.

Ritengo in conclusione che la innovazione, è importante per tutti noi, interessati ad uno sviluppo portatore di benessere collettivo, ma essa si deve misurare con i fenomeni sempre più incalzanti del lavoro nero e sommerso e degli infortuni sul lavoro che hanno avuto un’impennata notevole nella nostra regione.

Anche queste cose appartengono all’etica della politica e ad una cultura riformatrice.

Di Franco Leone

ex Segretario Generale della Cgil Abruzzo - ex Seg. Generale Cgil Pescara e dello Spi Regionale.