A trenta anni dalla sua morte, scopro che c’è una incomprensibile sottovalutazione della storia di LIZZADRI, Oreste (nato a Gragnano- NA- appunto il 17 maggio 1896), eppure andrebbe conosciuta, magari stampando un “depliant” distribuendola a tutti/e quelli/e che si avvicinano alla Cgil. Almeno a che esprime la voglia di fare un’esperienza nel sindacato. Propongo la utilità di questo percorso per “propagandare” e portare a conoscenza una metodologia molto significativa nei criteri di selezione del gruppo dirigente del sindacato. Una pratica oggi del tutto dimenticata, un po’ perché molte sono state le modifiche nella natura e nell’insediamento del sindacato. La Cgil , piano a piano, si è trasformato da punto di riferimento del movimento sindacale, ad organizzazione del movimento, per diventare organizzazione con ampi spazi di autonomia e “distacco” dal movimento. Eppure, per molti, dei giovani dirigenti sindacali di oggi darebbe interessante “confrontarsi” con le modalità con le quali , e torniamo alla proposta iniziale, Lizzadri divenne segretario della Camera del Lavoro. Infatti dopo avere organizzato uno sciopero dei pastai, che portò alla vittoria con una conclusione positiva della vertenza, grazie alla sua reazione ai soprusi , sui temi del salario e dell’orario di lavoro, venne eletto segretario della CdL. Una irruente iniziativa di un diciasettenne però matura, al punto tale, da suscitare l’entusiasmo dei suoi compagni che lo elessero e lo portarono in trionfo. Portato alla sede della CdL, il figlio di Canio, capostazione, socialista riformista, divenne segretario. E tanto per rinnovare la tradizione, che vedeva i dirigenti sindacali protagonisti nella organizzazione socialista, nel 1911, cioè nello stesso anno fu tra i fondatori della sezione. A differenza dell’impostazione riformista del padre Lizzadri divenne, come tanti altri giovani socialisti, un fedele assertore dell’intransigentismo rivoluzionario. Subì l’influenza della La Voce, pubblicazione del Circolo Carlo Marx ispirato dal suo fondatore A. Bordiga. Per questi motivi venne nominato vicesegretario della Camera del lavoro di Castellammare, ma incarico abbandonato a seguito della sua chiamata alle armi allo scoppio del primo conflitto mondiale. Al suo ritorno alla vita civile si reco a Roma per lavorare presso un istituto di credito, dove s’impegnò subito per sviluppare l’iniziativa sindacale tra i bancari. E fu in questo periodo che Lizzadri si allontana da Bordiga aderendo poi alla frazione terzinternazionalista di G.M. Serrati. Eppure non segui, successivamente i terzinternazionalisti che confluirono, nel 1924, nel partito comunista: Lizzadri, infatti, era di indole unitaria e restò nel PSI lavorando, insieme all’indimenticato pennese Senatore N. Perrotti, ed altri per ritessere le fila dell’organizzazione del partito socialista. Lizzadri, nel bel mezzo del lavoro di consolidamento della rete clandestina, del suo impegno per la ricostituzione del PSI, che lo portò ad essere nominato vicesegretario del partito, non trascurava di incontrare, oltre ai vecchi quadri e militanti socialisti, anche i lavoratori delle fabbriche, protagonisti dei grandi scioperi del marzo 1943. Punto forte del suo obiettivo era la aspirazione di rilanciare l’idea di una grande organizzazione sindacale unitaria. Però con il mantenimento di una intensa attività di partito, visto che a casa di Lizzadri si svolse il convegno che sancì la fusione tra il PSI, il MUP (Movimento di unità proletaria) e l’UPI (Unione proletaria italiana) nel PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria), con la formazione di un esecutivo segreto del quale fece parte lui il segretario P. Nenni e G. Vassalli. A seguito di questo incarico rappresentò le posizioni al congresso dei partiti antifascisti che si tenne a Bari il 28 e 29 genn. 1944. In questa occasione si manifesto, per intero l’indole di Lizzadri, che pur latore di una lettera di B. Buozzi e Nenni indirizzata ai socialisti dell’Italia liberata, nella quale veniva posto tra le priorità l’avvento della Repubblica, si preoccupò di mantenere il rapporto unitario con i comunisti. Fu lui a spingere affinché il partito accantonasse la pregiudiziale repubblicana aderendo alla cosiddetta “svolta di Salerno” promossa da P. Togliatti. La nuova linea fu approvata dal consiglio nazionale socialista, riunito a Napoli il 15-16 apr. 1944, che nominò il Lizzadri segretario del partito per l’Italia liberata. Ma è in questo periodo che Lizzadri si apprestò a svolgere un ruolo rilevante anche in campo sindacale, nel commissariamento delle organizzazioni fasciste prima, e nella costituzione della CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro) unitaria poi. Una volta nominato, dal governo Badoglio, vicecommissario della Confederazione dei lavoratori agricoli (commissario era il sindacalista cattolico A. Grandi), rivestì anche la carica di segretario del Comitato fra i commissari delle confederazioni dei lavoratori, presieduto da Buozzi. Insieme con quest’ultimo, per conto dei socialisti, condusse le trattative per l’unità sindacale, che portarono al patto di Roma, sottoscritto il 4 giugno 1944 da G. Di Vittorio, Grandi e, per i socialisti, da Canevari, poiché Buozzi era stato appena ucciso dai nazisti in fuga dalla capitale e il Lizzadri si trovava al Sud. Rientrato a Roma dopo la liberazione, Lizzadri prese subito il posto di Canevari, affiancando Di Vittorio e Grandi al vertice della CGIL. Molte polemiche si addensarono sulla figura di Lizzadri sostenitore di una improbabile fusione tra PCI e PSIUP, perché con il suo comportamento favoriva un sostanziale appiattimento della corrente sindacale socialista sulle posizioni comuniste. Per questi motivi, nel giugno 1947, fu sostituito da F. Santi alla guida dei sindacalisti socialisti. Per questi motivi Lizzadri ritornò all’attività di partito, battendosi per uno stretto rapporto con il PCI anche dopo la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni del 18 aprile 1948. Eletto alla Camera divenne responsabile dell’Ufficio sindacale e lavoro di massa del PSI, per poi riprendere il suo posto nella segreteria della CGIL. Ai vertici della confederazione visse la fase critica seguita alla grave sconfitta della CGIL alla FIAT nel 1955 e, l’anno dopo, ai tragici fatti d’Ungheria. Lasciò definitivamente la CGIL nel 1957 per concentrarsi nell’attività parlamentare (nel 1953 e nel 1958 fu rieletto alla Camera) e di dirigente del PSI. Questo ed altro, fino a divenire un fervente sostenitore della corrente lombardiana nel Psi, ma un esempio di una vita interamente dedicata al partito, ma anche, alla formazione, fondazione e costruzione di un gruppo dirigente efficace per realizzare un sindacato unitario. Ma poche tracce, nella storiografia ufficiale della Cgil restano di questo ammirabile socialista divenuto, finalmente seguendo le orme del padre, un riformista. Il ricordo di Lizzadri si perde insieme al suo esempio di come si diventava un dirigente della CGIL.