Il tentativo è quello di mischiare le cose promesse nel titolo, però con la premessa che con il primo (Piero Boni) i contatti sono stati tardivi. Infatti sono entrato nella attività sindacale nel lontano 1974, per cui gli incontri con Boni sono relegati a semplici partecipazioni a riunioni ufficiali, di componente o congressi. Con gli altri i contatti sono stati meno formali, anche se molte volte in incontri sindacali, congressi o riunioni di organismi dirigenti.
Piero Boni
Nato il 19 ottobre del 1920 a Parma è stato un grande sindacalista socialista del tutto dimenticato. Laureato in giurisprudenza Boni era stato un eroe della Resistenza, capo partigiano e Medaglia d’argento al Valor militare: partecipò alla liberazione di Parma dopo aver passato dieci mesi nelle Brigate Matteotti.
Da membro dell’Ufficio sindacale del Psi; entrò, in seguito, a far parte dell’Ufficio segreteria della Cgil. Eletto successivamente «aggiunto» di Luciano Lama nella della federazione dei chimici, per poi entrare nella segreteria della Fiom. Venne anche eletto segretario generale aggiunto della Federazione dei metalmeccanici a fianco di Luciano Lama e membro dell’esecutivo della Confederazione; carica che gli fu confermata nel 1962 e nel 1964, a fianco di Bruno Trentin. Con una singolare particolarità. Quando al posto di Lama venne proposto Bruno Trentin, al vertice della federazione si creò una diarchia, in quanto sia Boni, sia Trentin (caso abbastanza raro) furono nominati segretari generali. Nella sua partecipazione alla segreteria confederale nel 1969, Boni si prodigò attivamente per la crescita dell’unità sindacale con la passione consueta, subendo con sofferenza il momento in cui questo obiettivo venne ridimensionato nel Patto federativo. Nel 1973 fu eletto segretario generale aggiunto della confederazione, carica che mantenne fino al 1977, anno in cui si dimise dalla segreteria. Questo avvenne, e Boni lo fece con generosità, offrendo le proprie dimissioni per uscire da una situazione divenuta politicamente insostenibile. Boni era rimasto minoritario nel PSI dopo il superamento della segreteria De Martino. Fu, per questo motivo che Marianetti venne candidato alla guida della corrente socialista, dai lombardiani in particolare da Mario Didò. Il dissenso di Boni sulla sua sostituzione si concluse con una la lettera di dimissioni e l’uscita dalla Cgil. Gli venne affidata la Presidenza della Fondazione Brodolini e continuò a rappresentare la Cgil al Cnel dove stette fino al 1995. Nonostante tutto Piero Boni , pur manifestando il suo dissenso sulle modalità della sua sostituzione, restò affezionato alla Cgil.
Agostino Marianetti
Era popolare e, per tutti, era semplicemente Dino. La mia fortuna è stata quella di frequentarlo assiduamenet, e posso affermare, che è il dirigente sindacale che ho maggiormente frequentato, nel sindacato, grazie ad un legame cresciuto istintivamente. Devo però aggiungere che il rapporto si consolidò anche per la mia partecipazione, chiamato da lui, al gruppo della Organizzazione del Psi, di cui, Dino fu responsabile Nazionale. Il motivo centrale della mia appartenenza ai “seguaci” di Agostino (ripeto Dino per molti di noi e per me) Marianetti non era solo che è stato un grande leader sindacale socialista, ma si esprimeva anche con l’impeto di una vera e propria forza della natura. Immemorabili erano i silenzi che si creavano nelle platee, anche tra le più numerose e partecipate, in attesa dell’inizio del suo intervento. Dino era nato a Tripoli il 2 maggio 1940. Un operaio figlio di operai (Lorenzo, il padre socialista, lavorava alla Bombrini Parodi Delfino di Colleferro). Con orgoglio mi ricordava che lui aveva un DNA coerente e rigoroso e diceva spesso che: «La mia era una famiglia socialista”. È scomparso il 21 gennaio 2016 a Roma a 75 anni. Non nascondo che sin dal primo momento, dalla prima volta che l’ho sentito dal vivo ho percepito che Dino era dotato di un’intelligenza particolare. Più tardi, grazie anche ad una frequentazione più continua, e per un periodo giornaliera, scoprii l’esistenza di un profilo culturale acquisito nella esperienza e nella lettura, anche grazie alla sua intelligenza “spugna”. Nonostante, come mi raccontò durante una serata passata a Roma insieme quando lo seguii a Roma per collaborare con lui neo Responsabile di Organizzazione Nazionale del PSI, il fatto che il suo livello di scolarizzazione era assai modesto. Io lombardiano, Dino l’ho conosciuto come demartiniano (De Martino era il leader della corrente socialista nella quale primeggiava Dino) e godeva di un grande prestigio, nonostante che la componente socialista della Cgil era rigogliosa di dirigenti lombardiani. Anche se questo tema della diversità della collocazione nel PSI, era presente ma non era però così forte al punto di nuocere alla sua leadership di capo componente socialista. Nessuno avanzava, anche nelle chiacchierate di salotto, dubbi nel riconoscere in lui il valore di un dirigente senza timori nel portare avanti battaglie riformiste, razionali, coerenti. Ma tornando indietro nei tempi, giova dire che Dino nel ruolo di numero due della Confederazione si trovò ad affrontare momenti difficili come il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. Voglio ricordare che anche io, in contrasto “passionale “ con i comunisti, così come lui sostenni la linea della trattativa. Ma per Dino nella sua qualità di dirigente nazionale fu certamente più duro, cosa facile ricordare vista la intransigenza del PCI sul punto. Ma un altro punto della esperienza di Marianetti nel PSI riguarda la sua intuizione nel portare unitariamente tutta la componente socialista ad elaborare un contributo, con l’apporto di alcuni intellettuali, al Progetto socialista di Bettino Craxi, discusso a Torino. I socialisti della CGIL scrissero un punto centrale teorico del nuovo progetto socialista. Cioè l’anticipo teorico della transizione dall’ancoraggio al precetto della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio ad un riformismo moderno, adeguato, grazie alla lettura dei cambiamenti sociali e produttivi, alla realizzazione di una iniziativa socialista per l’Alternativa di governo. In epoca più recente, proprio nel dicembre del 2015 usci una pubblicazione dal titolo “Io c’ero”, un libro scritto da lui . Una testimonianza eccezionale, la descrizione di una vita interamente segnata dall’impegno nel sindacato, nella politica e nelle istituzioni elettive. È doloroso ricordare che la presentazione del libro avvenne pochi giorni prima della sua morte a causa di una malattia di cui soffriva da anni e che l’aveva segnato nel fisico e nello spirito. Ma c’è un punto che lo riguarda . L’essere stato vittima di una Magistratura che lo ha imputato con accuse «montate su carta copiativa», che gli costarono la mancata rielezione a deputato e, soprattutto provocarono, nei fatti, un abbandono della politica attiva. Ma la cosa che lo turbò di più, nonostante l’evidenza dell’esistenza di una persecuzione giuridica, avvenne, quando il parlamento votò il SI al procedimento della incriminazione. I comunisti, quelli componenti della commissione parlamentare più volte affermarono che non ne esistevano i motivi per procedere, ma un ordine dall’alto, dalle alte gerarchie del PCI D’Alema segretario, si impartì una indicazione netta: Si al procedimento di incriminazione. Ma arrivato il giorno della assoluzione perché non ci poteva essere colpa non esistendo il reato , cioè gli affari su “Roma Capitale” che era solo una idea senza fondi o valori da scambiare, nessuno ne parlò, nessuno sentì la necessità di chiedere scusa a chi da tempo era fuori dalla politica, però a a casa, alla “finestra” e giudica “sofferente” la democrazia italiana. La Cgil deve restituire onore ad un suo dirigente da rivalutare anche nell’onore. Da chiedersi perché non si è svolta una qualche forma di “riflessione” sul ruolo, l’opera e la essenzialità del contributo dato al mondo del lavoro dal Segretario Agostino (Dino) Marianetti.
Ottaviano Del Turco
Già seguivo le vicende dell’abruzzese, di Collelongo, Ottaviano Del Turco. Segretario Generale Aggiunto della CGIL, prima della sua elezione al senato, spesso si incontrava con me e altre dirigenti sindacali, cone Luigina De Sanctis (marsicana d’elezione) e Nicoletta Rocchi Segretaria Nazionale FISAC. Erano incontri estivi svolti durante le vacanze, anche senza impegni politici particolari, dove partecipavano anche personaggi fuori dalla politica e dal sindacato. Uno memorabile con Mogol e artisti del bel canto. Questo era il Del Turco abruzzese che adorava il suo paese, Collelongo, naturalmente il centro dell’Abruzzo e della bellezza appenninica, anche in ostilità “gentile” a paesi vicini. Cosa che faceva notare con ostentazione, ma in lite con Nicoletta ed il sottoscritto, che amavamo tutto di quel lembo d’Abruzzo, compresa la vicina Villavallelonga, dove soggiornavamo. Tornando a noi in concreto ho conosciuto Ottaviano Del Turco, mentre ero Segretario della CdLP di Pescara, da poco eletto a tale carica, era l’inizio degli anni ’80, all’epoca era ancora Agostino Marianetti il segretario aggiunto della Cgil. Fu, non senza coloriti contrasti, appena Dino (anno 1983) si candidò alle elezioni politiche, Ottaviano che, da Segretario Generale Aggiunto, della Fiom (epoca segretario Pio Galli), venne eletto segretario generale aggiunto. Ottaviano l’aggiunto, anche se brevemente, di Luciano Lama e, con la stessa lealtà con Antonio Pizzinato (anzi lo difese quando venne messo in discussione all’interno della sua componente), ma anche, con pari impegno con Bruno Trentin. Del Turco aveva qualità notevoli dal punto di vista culturale, viveva senza tensioni o malanimo personale l’impegno politico. Adorava definirsi un nenniano DOC e citava sempre la frase detta dall’immortale Pietro, dopo un memorabile discorso di Lelio Basso dal palco dell’ultimo congresso del Psi, prima della scissione del Psiup. Tutto partiva da Lelio Basso contrario all’ingresso dei socialisti nel Governo che citò una frase di Martin Lutero: «Non costringeteci a dire non possumus». Cioè la scissione. Allora Nenni, mi raccontò Del Turco, cambio lo scritto ed il tono delle sue conclusioni, introducendo una frase tremenda ed ultimativa . «Caro Lelio non siamo chiamati a fare le guerre di religione, ma a portare il Paese sulla via delle riforme». Il Paese sulla via delle Riforme era il punto di riferimento di Ottaviano, anche nella sua esperienza sindacale. Divenne l’uomo che dalla Fiom teneva i rapporti aperti con la Confederazione, questo non lo fece amare a tale punto che venne sostanzialmente emarginato dalla gestione della vertenza Fiat del 1980. Fu solo dopo che si scopri qual’era una sua intuizione felice, inascoltata nella FIOM. L’esistenza del problema dei quadri e dei tecnici e ad individuare l’esigenza di soluzioni contrattuali specifiche per queste categorie. Naturalmente i comunisti, non tutti ma a stragrande maggioranza i più radicalizzati, gridarono allo scandalo. Un sentimento che attanagliava la discussione in Cgil, ma ancora avviene, quando qualcuno inventava soluzioni nuove. Per molto tempo, per mia leggerezza di analisi ed attenzione, mi restò oscuro il successo di Ottaviano con i media , solo successivamente capii quanta importanza lo stesso dava alla funzione della informazione. Il modello era Luciano Lama che in una memorabile intervista cambio la linea della Cgil senza infarcirla dall’oscurantismo sindacalese. Era una intervista a Repubblica sulla Piattaforma dell’EUR. Quindi Ottaviano, dopo questa lezione, capì che doveva lavorare utilizzando i mezzi di informazione, arrivando prima degli altri così regalando ai famelici, e stanchi giornalisti, il suo punto di vista sul merito dell’incontro o sul tema di una riunione. Ma tutto divenne più duro di fronte ad un tema che volle un Del Turco a fronteggiare il “grande scontro” del 1984 e 1985 sulla scala mobile. Lo fece con molta fermezza e con tanto equilibrio, in tandem con Lama. E sempre con molta attenzione per l’unità della Cgil. L’atteggiamento di lealtà tenuto in quel periodo gli valse un grande rispetto dei comunisti. La situazione era così dura che, ad esempio il sottoscritto Segretario Generale della CdLP di Pescara, venne provocato fino a portarlo alle dimissioni dopo che la componente comunista decise di organizzare una Manifestazione, contro il famoso decreto sulla contingenza, proprio a Pescara. Tutto senza che fosse possibile discuterne e senza nessun rispetto, per chi si era pubblicamente schierato in una Assemblea Regionale svoltasi a Chieti Scalo, offrendo idee ed approfondimenti diversi. In quella occasione proposi, sulla linea di Del Turco, una linea di confronto unitario comune sulla tutela dei diritti contrattuali, fermo restando che, la linea della difesa “senza Cervello” del meccanismo di valutazione della contingenza, era letale per un sindacato moderno che doveva trovare il suo spazio nella contrattazione sulle retribuzioni e sulla produttività. Una linea che, molti della stessa dirigenza dei comunisti della componente sindacale nella Cgil, riconoscevano utile, ma trascurano perchè “travolti” dalla spinta di Berlinguer teso a dimostrare la pericolosità del governo Craxi. Quindi , non la giustezza o meno della esistenza di una linea alterantiva, o più efficace, sulla tutela reale del valore delle retribuzioni dei lavoratori e pensionati, ma battere il nemico socialista. Ma, superando questo inciso, Ottaviano dovette caricarsi il contesto e non fu certamente facile. Il resto, come la sconfitta al Referendum sulla contingenza da parte i Berlinguer e comunisti, è storia , ma è un argomento del quale non si parla mai. Anzi si usa solo quanto è necessario parlare della “cattiveria” dei socialisti. Ma dell’errore politico del ricorso al Referendum, mai. Andando avanti Ottaviano è stato parlamentare europeo, e infine candidato vittorioso del centro sinistra alla presidenza della Regione Abruzzo. In quel ruolo si trovò coinvolto nelle vicende “oscure” della sanità venne arrestato e poi dimessosi. Ma questa è una storia diversa che può trovare descrizione in pagine diverse da questa nostra. Il resto è silenzio . Io già non ero più Segretario regionale della Cgil Abruzzo.
Guglielmo Epifani
Sono passati due anni dalla morte di Guglielmo Epifani un romano, nato da genitori di origine campana. Una famiglia prima trasferitasi a Milano per poi tornare nella capitale. Quando ho conosciuto Guglielmo scoprii che era un giovane laureato in filosofia, alla Sapienza di Roma, laureatosi nel 1973 con una tesi su Anna Kuliscioff. Una scelta di tutto rispetto per l’ingresso del Socialista Epifani nella Cgil nazionale, che avvenne come direttore della Casa editrice della Confederazione, l’Esi (l’attuale Ediesse). Le circostanze mi spinsero a cercare la conoscenza del giovane direttore, venni incuriosito dalla partecipazione casuale ad un colloquio tra due dirigenti comunisti della Fillea che criticavano la circostanza della pubblicazione di una biografia di Bruno Buozzi. Diventava preoccupante, per i due rigorosi “leninisti” che l’Esi potesse pubblicare un testo sul riformista socialista e martire della resistenza. Naturalmente dopo avere detta la mia sulla “pochezza” dei miei interlocutori mi intrigò l’idea di conoscere quel socialista, che proponeva Buozzi, quindi un riformista coraggioso ed innovativo. Conoscere Epifani mi aiuto a capire il perché della forzatura su “Buozzi” e, quindi la sua idea di sindacato unitario. Una posizione che non passò inosservata nella Cgil, dove operava un gruppo dirigente sempre a “caccia” di talenti . Infatti Guglielmo approdò prima all’Ufficio sindacale, come collaboratore di Piero Boni, e poi all’Ufficio Industria della Confederazione. Ma fu nel 1979, nello stesso anno dove il sottoscritto venne eletto Segretario a Pescara, che iniziò la vera carriera di dirigente sindacale di Guglielmo con l’incarico di segretario generale aggiunto della categoria dei lavoratori poligrafici e cartai. Mentre nel 1990 entrò nella segreteria confederale al posto di Enzo Ceremigna e nel 1993, all’uscita di Del Turco, fu eletto segretario generale aggiunto di Bruno Trentin. È stato iscritto prima al Partito Socialista Italiano e, dopo la fine del Psi, al partito dei Democratici di Sinistra. Vice di Sergio Cofferati dal 1994 al 2002, a seguito della conclusione del mandato di Cofferati, divenne segretario generale della Cgil, primo socialista a guidarla dai tempi della sua ricostituzione. Colto, intellettuale raffinato, è stato un sindacalista dai tratti gentili, ma anche capace di decisioni radicali. Fu lui nel 2002 ad annunciare al congresso della Cgil la decisione che portò poi ai 3 milioni di lavoratori in piazza contro la riforma dell’articolo 18 voluta dal governo Berlusconi, la più grande manifestazione di sempre che si tenne al Circo Massimo. Durante la battaglia della Cgil abruzzese tesa a “combattere” la deriva recessiva della economia regionale, venne a Pescara per tenere il comizio che apri il tema, da lui definito “Caso Abruzzo”. Una regione che era stata la locomotiva del Sud, ad una passo dalle capacità di sviluppo del Centro-Nord, che marciava al contrario, verso una fase di declino. Dopo di Lui arrivò la Camusso. Una donna a dirigere la Cgil per la prima volta. Con questo titolo di merito alla sua uscita dal Sindacato venne eletto deputato nel PD, per poi svolgere la funzione di presidente della X commissione attività produttive, commercio e turismo, incarico a cui non rinunciò neppure quando l’11 maggio 2013 fu nominato segretario (di transizione) del Pd dove venne costretto a dire con asprezza che Letta, non presiedeva un «governo amico», ma l’esecutivo espressione del Pd. Poi, Epifani fu sostituito da Matteo Renzi, al quale, in seguito, ha fatto opposizione, fino al punto di prendere parte alla scissione del Pd (fu incaricato lui di spiegarne le ragioni nel dibattito) e all’avventura dell’Articolo 1- Mdp. Una breve malattia ce l’ha portato via il 7 giugno 2021.