Si potrà obiettare che lo fanno in tanti non esenti i Ministri del Governo del cambiamento, ma più di tutti il Ministro allo Sviluppo Economico. L’eterna campagna elettorale, pone l’imperativo della ricerca del consenso: la matematica, i numeri ed i dati non contano niente. a parola di moda la “narrazione” chiede di raccontare un futuro roseo. L’Europa, al contrario ci racconta un presente preoccupante, magari per questo sempre più odiata, invitandoci ad uscire dal torpore per volgere lo sguardo alla fase economica negativa. Eppure nel frattempo l’Inps comunica che gli assegni erogati nell’anno 2018 sono un quinto in meno rispetto all’anno precedente. Infatti se collazioniamo in una Tabella di confronto, dell’ultimo biennio, i numeri dei dati del monitoraggio sui flussi del pensionamento pubblicato dall’INPS risulta evidente la caduta verticale degli assegni erogati.
INPS | Anno 2018 | Anno 2017 | Percentuale |
Pensioni liquidate | 483.309 | 607.525 | – 20,4 % |
È bene ricordarci che ci troviamo di fronte al risultato dell’applicazione della confermata Legge Fornero, anche dall’attuale Governo del cambiamento in sede di approvazione al Senato del cosiddetto Decretone. Il risultato è il frutto dell’innalzamento del requisito di vecchiaia delle donne e quello per l’assegno sociale portandolo a livello degli uomini a 66 anni e sette mesi. Naturalmente bisogna soffermare l’attenzione sulle pensioni di vecchiaia che nel complesso sono state 125.293 con un calo del 39,4% e un livello più basso delle anticipate (140.752). Con l’aumento dell’età (da 65 anni e sette mesi a 66 anni e sette mesi) per accedere all’assegno sociale, nel 2018 sono crollate le liquidazioni di questi ultimi assegni. Nell’anno 2018, sempre dall’analisi dei dati del monitoraggio, abbiamo scoperto nel rapporto appena pubblicato, che sono stati liquidati appena 16.621 assegni sociali con un crollo del 79% rispetto ai 79.257 del 2017.
INPS (liquidate) | Anno 2018 | Anno 2017 | Percentuale |
Pensioni di vecchiaia | 125.293 | 140.752 | – 39,4% |
Assegni sociali | 16.621 | 79.257 | – 79,0% |
Stesso scenario, nonostante gli impegni pomposamente, assunti dal Governo del cambiamento, sull’applicazione della Legge Fornero, si ripeterà nell’anno 2019. Naturalmente la Riforma della quota 100, interviene su altro, non cambia questa situazione, consente solo la apertura, a proprio costo, della possibilità di lasciare il lavoro in anticipo, con pensione decurtata, grazie allo scivolo offerto, ovvero 62 di età e 38 anni di contributi. Tutto a partire dal 1 agosto per i lavoratori pubblici, da Aprile per i privati. Al trattamento pensionistico anticipato si applicheranno le regole di calcolo del sistema contributivo, solo ai lavoratori precoci non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita e potranno quindi andare in pensione con 41 anni di contributi. Vengono alla luce tutte le contraddizioni contenute nelle parole e nelle frasi, non chiare, proferite nel corso di una Conferenza Stampa del Governo, dal Ministro Salvini sul rispetto dell’ammontare delle pensioni, sono quindi volutamente tortuose e fumose. Allora CHIARIAMO che chi lascia il lavoro con quota 100 incassa tutto quanto maturato fino a quel momento, quindi niente superamento della Fornero sui vincoli ai calcoli contributivi. Pensione più bassa, secondo l’assunto che chi versa di meno incassa di meno. Allo scopo i calcoli effettuati dall’ufficio parlamentare di bilancio ipotizzano tagli alle pensioni dal 5 al 34%, mentre ilsole24ore avverte che chi decide di smettere di lavorare a 62 anni, quindi con i due requisiti minimi di quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi), rinuncia al 22% della pensione, rispetto a quanto si incasserebbe accedendo al pensionamento di vecchiaia a 67 anni di età. È singolare che tutto questo avvenga mentre emerge una inversione netta di quanto si è sviluppato nell’INPS, dove si registra una crescita dell’importo medio delle erogazioni da 989 a 1.103 EURO. Infatti l’aumento dei requisiti per l’accesso alla vecchiaia delle donne e agli assegni sociali, ha ridotto il peso quantitativo del numero degli assegni determinando un aumento dell’importo medio delle pensioni liquidate dall’Inps. In particolare, l’importo: – degli assegni di vecchiaia è salito da 641 a 788; – medio per le anticipate, da 1963 a 2.019; – per le invalidità da 749 a 756; – superstiti da 650 a 675. Questo è il racconto possibile, dopo la lettura dei dati pubblicati dell’INPS, che però fa nascere un quesito, su un tema che circola nei discorsi della politica “salottiera”. L’occupazione aumenta sì o no ? Cioè se il sistema produttivo, dei servizi e della Pubblica Amministrazione ha sostituito i dipendenti/e andati in quiescenza. L’Istat spiega che i dati riferiti a Novembre 2018 sono il livello più alto dall’inizio delle serie storiche (1977). Infatti osservando i dati, descritti nella Tabella che segue, estratti dal PROSPETTO 7. OCCUPATI Gennaio 2016 – novembre 2018, dati destagionalizzati, possiamo affermare che, di anno in anno, si esprime una crescita del numero di occupati.
Valori assoluti (migliaia di unità)
Istat 11/2018 | Differenza | Differenza | |||
Anno | 2016 | 2017 | 2018 | ||
Occupati | 22.848 | 23.139 | + 291 | 23.238 | + 99 |
Però se osserviamo insieme qualche dato e tenendo in conto che il sistema di rilevazione dell’INPS ha una costante, cioè una casistica dove ad esempio le persone che hanno svolto almeno un’ora di lavoro in qualsiasi attività che prevede un corrispettivo monetario o in natura, risulta un occupato nell’anno, possiamo estrarre l’idea che è una CHIMERA l’idea che ad un pensionato si sostituisce un altro. Infatti, se così fosse dovremmo chiederci come sono stati sostituiti i 607.525 pensionati liquidati visto che la differenza di occupati tra l’anno 2017 e l’anno 2018 è di appena 99mila. Di fatto l’arcano, rozzamente, viene svelato dal fatto che nell’anno 2018 le pensioni liquidate sono state 483.309, cioè ca. 125mila che abbassano significativamente il numero di occupati nell’anno. È questo uno dei motivi che, a prescindere dalla propaganda sulla sostituzione dei pensionati con i giovani (come si deduce dai dati sopra esposti), questo concetto è tutto da dimostrare. Naturalmente evitiamo riferimenti al contenuto della Manovra economica del Governo che rinvia la sostituzione dei lavoratori in uscita dalla Pubblica Amministrazione. Intanto i dati Istat sul lavoro più recenti, esplicitano una diminuzione degli occupati nella nostra regione del 5,1 per cento rispetto al 2017 e una risalita del tasso di disoccupazione al 12,1 per cento rispetto al 9,7 per cento di un anno fa. Altrettanto avviene a livello Nazionale. Il quadro di raffronto su quest’ultimo dato è il seguente:
Tasso di disoccupazione | Anno 2017 | Anno 2018 |
Abruzzo | 9,7 | 12,1 |
Italia | 10,6 | 9,3 |
Queste dinamiche congiunturali del mercato del lavoro riflettono il calo dei livelli di attività economica rilevato nello stesso periodo, con una flessione del Pil (-0,1%), dopo quattordici trimestri di espansione. L’andamento economico in Italia è più debole di quello dei paesi dell’area Euro. Il problema è che in questo periodo assistiamo ad una crescita di 147 mila occupati, dovuta ai dipendenti a termine e agli indipendenti, a fronte del calo dei dipendenti a tempo indeterminato (-222 mila). Una questione che chiede una lente di ingrandimento su uno dei punti significativi del Decreto. Con Quota 100 si introduce anche un fondo bilaterale per il ricambio generazionale: ovvero un fondo a cui si può accedere per andare in pensione tre anni prima di quota 100 a patto che ci sia un’assunzione. Un altro passo che se non chiarito, cioè per quale tipo di occupazione può provocare una ulteriore dequalificazione del livello delle retribuzioni in atto nella nostra regione. Alimentando un andamento che vede un calo del PIL pro-capite, costante e certo, che accompagna il PIL produttivo.