La pagina che segue è pubblicata sul sito ufficiale della Cgil.
La si può trovare all’indirizzo : Home La nostra storia (pubblicata il 28/07/2021 – 16:43)
Un titolo molto impegnativo, che disegna la premessa di una storia collettiva e plurale (altrimenti perché nostra) ma per questo meritevole di un più ampio approfondimento. Forse, per esigenze di spazio, offre una scarna sintesi, ma non omette l’abitudine dell’offerta di una lettura di parte. Siamo in quella ripetuta maledizione denunciata da Vittorio Foa che sbotto descrivendo tutto il suo dissenso con questa frase tra virgolette «Sarebbe ora di finirla con questa damnatio memoriae per cui la storia del Novecento ruota intorno ai comunisti, agli ex comunisti e ai comunisti o filocomunisti pentiti. C’è una grande storia che è stata rimossa: quella degli antitotalitari democratici e liberali – anticomunisti e antifascisti – che non hanno avuto bisogno di rivelazioni tardive, di omissioni generalizzate e di compiacenti assoluzioni». Il testo proposto offre il fianco alla ripetizione di questo forte, clamoroso ed autorevole dissenso, ma solo dopo una sua lettura mi permetterò di aggiungere una personale riflessione.
La CGIL dopo le scissioni sindacali: i duri anni Cinquanta (1948-1955)
Il periodo delle scissioni sindacali si protrasse per circa due anni, dall’estate del 1948 alla primavera del 1950. La prima componente a lasciare la CGIL fu quella cattolica che nell’ottobre 1948 costituì la Libera CGIL, guidata da Giulio Pastore; dopo alcuni mesi, nel giugno 1949, fu la volta delle componenti socialdemocratica e repubblicana che dettero vita alla FIL (Federazione Italiana dei Lavoratori). Il percorso terminò con la nascita dell’Unione Italiana del Lavoro (UIL, 5 marzo 1950) e della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL, 1° maggio 1950). La fase successiva alle scissioni fu una delle più difficili per il sindacato italiano, segnato da profonde divisioni ideologiche. Inoltre la repressione poliziesca, condotta dalla famigerata “Celere” potenziata dal Ministro degli Interni Mario Scelba, causò la morte di decine di lavoratori durante manifestazioni e scioperi. La città simbolo di questi “eccidi proletari” fu Modena dove il 9 gennaio 1950 morirono sei operai; ma la maggior parte delle vittime si ebbe in piccoli paesi del Sud (tra gli altri Melissa, Montescaglioso, Torremaggiore, Celano); le regioni più colpite furono la Sicilia e la Puglia. La CGIL provò a uscire dall’isolamento attraverso una proposta politica forte, lanciata al II Congresso di Genova (1949) e nota con il nome di “Piano del Lavoro”. Nelle intenzioni dei promotori il Piano, che prevedeva la nazionalizzazione dell’energia elettrica e un programma esteso di lavori pubblici in edilizia e agricoltura, doveva sollecitare le classi dirigenti sul tema delle cosiddette “riforme di struttura”. Dopo il Piano, Di Vittorio lanciò al III Congresso di Napoli (1952) una nuova proposta “forte”, cioè l’idea di uno Statuto dei diritti dei lavoratori. Il clima politico del centrismo democristiano non era tuttavia favorevole a questo tipo di iniziative. Lo dimostrarono nel 1953 lo scontro frontale sulla nuova legge elettorale maggioritaria (la cosiddetta “legge truffa”) e nel 1954 la dura vertenza sul conglobamento (l’unificazione di alcune voci salariali), che si concluse con un accordo separato senza la CGIL. Questa raggiunse il punto più basso del consenso con la sconfitta della FIOM nelle elezioni alla Fiat per le Commissioni Interne (1955), dovuta non solo alla politica repressiva della direzione aziendale, ma anche alla forte centralizzazione delle decisioni che aveva contraddistinto la CGIL nel dopoguerra. All’indomani di quella cocente sconfitta, Di Vittorio pronunciò nel Direttivo confederale una famosa autocritica, destinata a mutare la politica rivendicativa dell’organizzazione.
La riflessione dopo la lettura. E qui finisce il testo pubblicato dove nulla lascia trasparire l’esistenza all’epoca di un dibattito interno alla CGIL molto forte e molto significativo per il futuro della organizzazione. Ma si esplicitano solo asettici ( sarà il nuovo stile post comunista) riferimenti: 1) alla scelta delle cosiddette “riforme di struttura”, senza dire che erano del tutto indigeste al grosso del gruppo dirigente comunista; 2) all’autocritica di G. Di Vittorio sulla centralizzazione delle vertenze, dopo la sconfitta alla elezioni FIAT, senza citare i precedenti ed innumerevoli appelli dei socialisti, interprete Fernando Santi, per il superamento di questa pratica rivendicativa ; 3) alla proposta forte sul Piano del Lavoro, non citando mai chi l’aveva illustrata al Congresso della Cgil , cioè Santi. Questa è la storia narrata sul sito ufficiale della CGIL , in una data recente del 2021, dove il pensatoio “socialista” e la sua proposta sulle “riforme di struttura”, la nazionalizzazione dell’energia elettrica (temi come dovrebbe essere noto a tutti, posti e messi in concreto dal duo Fernando Santi e Riccardo Lombardi) la polemica durissima tra socialisti e comunisti sulla centralizzazione delle vertenze, che condusse Di Vittorio alla famosa sopracitata “autocritica”. Dette queste cose mi permetterei di allegare alla pagina pubblicata sul sito ufficiale della Cgil, uno scritto di uno storico socialista Gaetano Arfé su Fernando Santi ( che offro tramite il collegamento per una “sana” lettura) del quale riporto una piccola parte per aiutare la crescita culturale del gruppo dirigente della CGIL attuale .
Cioè: “ Santi conduce la sua battaglia senza clamori ma con tenace costanza. La sua concezione del socialismo e, in essa, quella del sindacato, resta quale l’ha maturata nel corso delle sue lunghe sofferte esperienze: una organizzazione di classe a ordinamento interno schiettamente democratico, strumento di rivendicazioni ma anche fattore possente di progresso civile e politico, autonomo, perciò dai partiti, ma non dalla politica (n.b. L’esatto contrario del pensiero togliattiano). Fu tra i promotori del “piano del lavoro” elaborato dalla CGIL nel 1949. La relazione che egli tenne al congresso di Genova a illustrazione (n.b. è Santi che illustra la proposta) del piano è esemplare per quanto riguarda il suo modo di concepire la funzione del sindacato da un punto di vista socialista in un paese gravato di mille squilibri e contraddizioni avviato a modernità. ………Sarà ancora lui a denunciare al congresso di Roma del 1955 i rischi della centralizzazione delle lotte sindacali e a proporne una nuova articolazione che, senza fomentare corporativismi, consenta di adeguare le lotte ai gradi del differenziato sviluppo della economia del paese.”
Per sbollire il mio “spirito” polemico basterebbe correggere quella descrizione storica pubblicata sul sito ed organizzare una giornata di riflessione sul ruolo di Santi nella affermazione di scelte politiche, scaturite dal confronto tra socialisti e comunisti, che il Segretario all’epoca , il comunista G. Di Vittorio, portò avanti, ma grazie al confronto ed al sostegno dei socialisti vista la “freddezza” dei dirigenti PCI di quei tempi.