Cari compagni e care compagne, gentili ospiti, oggi celebriamo il X° Congresso della Cgil Abruzzo, nell’anno 2006 , che coincide con il centesimo anniversario della nascita della Confederazione generale del lavoro.  Qui, in Abruzzo, come altrove, la Cgil, sta celebrando e riannodando la sua storia. Una storia che la Cgil non ha inteso celebrare per sé. Non riuscirebbe a farlo in virtù del rapporto che lega indissolubilmente la battaglia per la emancipazione del lavoro alla storia delle libertà democratiche ed istituzionali del nostro paese. Anche in Abruzzo, stiamo partecipando e parteciperemo  con centinaia di iniziative ad un vasto programma nazionale fatto di interventi storici, culturali e di confronto. Il nostro intento è quello di approfondire il valore di un processo che a partire dal formarsi delle prime leghe, dai primi sindacati di mestiere, fino alla nascita delle federazioni nazionali di categoria e delle Camere del Lavoro; dall’indizione del primo sciopero generale nel 1904, fino alla capacità di opporsi alla violenza del fascismo e alla cancellazione della democrazia e della libertà per tutti, ha poi dato vita al grande contributo dei lavoratori alla Resistenza, agli scioperi del 1943-1945, fino a segnare di sé contenuti e valori della Carta costituzionale. Ma anche un centenario che si sta rivolgendo innanzitutto ai giovani e alle nuove generazioni, a quanti s’interrogano su quale modello di società costruire, ai tanti fili invisibili che legano le memorie e le conquiste che passano da generazioni ad altre generazioni. Il documento congressuale della Cgil, recita : Il progetto di un nuovo avvio per il paese ha senso e vive solo se rivolto esplicitamente alle generazioni che rappresentano il presente, ma soprattutto il futuro, del mondo del lavoro e del paese.

Ma c’è una questione che pone una immediata considerazione. La Costituzione nata dalla Resistenza, i suoi principi fondanti, i suoi valori, la stessa centralità che assegna al lavoro, rappresentano un patrimonio che la Cgil difende e difenderà dagli attacchi che già le sono stati portati, attraverso le modifiche costituzionali. Gli orrori  revisionistici sulla Resistenza e sulla guerra di Liberazione, rispetto ai quali, allo stesso modo, la Cgil si è opposta  con assoluta determinazione, sul loro significato e sul loro valore, che hanno consentito proprio la definizione della Carta costituzionale, rappresentano un elemento essenziale di questa operazione politica. La Cgil è in campo nel referendum confermativo delle modifiche  costituzionali con l’obiettivo di abrogarle. Sono lesive dell’idea di democrazia e di coesione sociale che perseguiamo, in particolare per quanto riguarda il ruolo del cosiddetto premier, il suo rapporto con il Parlamento, l’alterazione degli equilibri di potere, il ridimensionamento che investe la figura e il ruolo del presidente della Repubblica; l’effettiva universalità di diritti fondamentali e la stessa unità nazionale. C’è quindi una nostra opposizione di principio perché vediamo seriamente minacciate le regole fondanti e l’equilibrato contrappeso dei poteri istituzionali che hanno garantito la nostra democrazia e la ricostruzione del paese e, contemporaneamente, c’è la necessità di difendere concretamente gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati che rappresentiamo. La difesa della Costituzione deriva dalla sua straordinaria attualità e lungimiranza, ma anche dal carattere altamente rappresentativo della sua originale scrittura che testimonia, appunto, di quanto sia importante che la Carta fondamentale abbia il consenso più largo possibile, rappresentativo della pluralità delle culture e delle opinioni politiche. Per questo la Cgil interviene nella organizzazione dell’appuntamento referendario per abrogare le modifiche alla Costituzione ed invita tutta la sua organizzazione, i suoi militanti ed iscritti alla più forte e convinta mobilitazione su una battaglia di grande valore. Siamo già attivi nel Comitato Salviamo la Costituzione, insieme a Cisl e Uil, riteniamo un atto democraticamente rilevante che le lavoratrici, i lavoratori, i pensionati partecipino attivamente alla raccolta delle firme per il referendum, al fine di abrogare con il voto popolare il testo approvato. Questo punto è parte del nostro lavoro che noi oggi proseguiamo alla presenza di una platea congressuale di quasi 400 delegati e delegate, eletti da congressi provinciali confederali e da congressi regionali di categoria. Congressi preceduti da 1.108 di assemblee, aperte anche ai non iscritti, svolte nei luoghi di lavoro, nei paesi dove hanno partecipato pensionati e pensionate e da congressi provinciali di categoria e di lega SPI. Un congresso svoltosi nell’arco di sei mesi, che ha coinvolto più di 30.000 persone, mentre hanno votato 23.249 iscritti, ed espresso 22.721 voti favorevoli al Documento Unitario, dei 21.797 votanti sulla tesi 8, 16.948 sulla tesi 8; 4810 sulla Tesi 8°; 529 sulla Tesi A, su 21.586 votanti sulla tesi 9, 14.725 tesi 9, 2.535 sulla Tesi 9°, 4.326 sulla tesi 9B, 387 sulla tesi A, il dibattito è stato  accompagnato da iniziative e confronti esterni su molti temi che vanno dal ruolo del sindacalismo italiano nel contesto italiano ed europeo, allo sviluppo e alla qualità sociale. Un lavoro lungo e faticoso, che non ci ha però fatto trascurare l’azione quotidiana di tutela individuale e collettiva, unitamente alla necessità di seguire le situazioni di crisi aziendali, che hanno ormai coinvolto tutti i settori e l’intero territorio abruzzese, con punte estreme di crisi nelle zone interne, e la organizzazione dello Sciopero e della Manifestazione regionale contro la Finanziaria Nazionale  a sostegno dello Sviluppo dell’Abruzzo  il 25 Novembre 2005. È stata rispettata una tradizione della Cgil: intrecciare  il confronto sui documenti congressuali con l’iniziativa e la lotta sui temi del lavoro e dello sviluppo. In questo contesto abbiamo ragionato sulle tante cose accadute da quando ebbe luogo il nostro IX° congresso regionale, la situazione della regione, ma anche del paese, della sua economia e quella del lavoro e dell’occupazione che presentavano, all’epoca, un quadro denso di difficoltà e problemi, ma anche di opportunità da cogliere. La coalizione di centrodestra, già vincitrice delle elezioni regionali in Abruzzo, ha vinto le elezioni politiche nel 2001, sostenuta da un patto esplicito con la Confindustria, simboleggiato dal convegno di Parma, e stava attivando i primi provvedimenti di politica economica e sociale: quelli tesi a ridurre ogni vincolo per l’impresa; quelli che portavano un attacco esplicito ai diritti dei lavoratori, con l’intervento sull’articolo 18; l’attacco alla scuola; insieme a provvedimenti, da quelli dei cento giorni alla prima Finanziaria, inefficaci, iniqui e dissipatori di risorse. A cinque  anni di distanza, la situazione del paese si presenta oggi con il volto di una crisi profonda: declino produttivo e industriale; recessione; carenza di infrastrutture materiali e immateriali; assenza di politiche e di strategie verso il Mezzogiorno; arretramento nella qualità della scuola, della ricerca e dell’università; una politica sociale e della tutela della salute tesa a colpire il carattere universalistico, per  privilegiare  un’offerta privata di bassa qualità e di alti costi, senza attenzione verso le aree crescenti della povertà, del disagio, dell’emarginazione. Nel frattempo è aumentata la precarietà, sono state inventate, con la legge 30, nuove forme di lavoro che non offrono ai giovani alcuna garanzia e sicurezza per il loro futuro e, tanto meno, qualità dell’occupazione e dei livelli retributivi. Tutti gli studi economici e sociali ci parlano ormai di un paese  più disgregato, più diviso, più insicuro dal punto di vista economico, sociale, della qualità della vita democratica e dell’etica pubblica. Sono aumentate le disuguaglianze e l’impoverimento di ampi strati sociali, fra cui i giovani, le donne e gli anziani. Ma anche la criminalità organizzata ha rialzato la testa e le illegalità crescono. È questa la situazione che la debordante iniziativa mediatica del Presidente Berlusconi vuole nascondere, raffigurando un paese irreale che al contrario si presenta come il grande malato dell’Europa, per le proprie condizioni materiali e per quelle, in cui versano giovani, lavoratori e pensionati. Noi in questo X° congresso della Cgil Abruzzo ci siamo misurati, innanzitutto, con la gravità e la profondità di questa crisi, sulle conseguenze per la nostra regione, nell’obiettivo e nella necessità di definire un progetto alto  per la sua ricostruzione, per avviare una svolta civile e morale, partendo,   dalla centralità e dal  valore fondante  del lavoro. La centralità del valore del lavoro, non solo come portato della nostra rappresentanza, inteso in tutte le sue forme ed  in alternativa alla centralità del mercato, ma per ridare forza in questo modo al concetto di “Repubblica fondata sul lavoro” come tratto distintivo della nostra comunità nazionale. Il lavoro e la conoscenza sono il bene comune che deve orientare una nuova e diversa fase dello sviluppo economico e produttivo della regione e del paese. Per questi motivi consideriamo rilevante la proposta avanzata sia in incontri, ma anche pubblicamente, dal Presidente Del Turco di organizzare un incontro sul tema del lavoro in Abruzzo, assunta come priorità insieme ai Trasporti ed alla Sanità. Una convocazione, da lui definita, degli Stati Generali, in grado di mettere insieme  regione, sistema delle Autonomie Locali, sistema delle rappresentanze istituzionali-burocratiche, nonché delle rappresentanze sociali, per discutere di lavoro. Per quanto ci riguarda, e lo abbiamo chiaramente detto, dimostrato e dichiarato con la nostra battaglia sull’art.18, con la imponente attività, con le  iniziative e con la grande Manifestazione Nazionale del 23 Marzo a Roma, su questo tema, riaffermiamo tutto il nostro interesse. Anzi assumiamo la proposta come importante risposta alla necessità di riavvio di una profonda revisione, anche nell’Unione,  dei giudizi politici dati alla Cgil quanto essa si è esposta con un netto NO alla cultura della Centralità dell’Impresa, in difesa del valore Lavoro. Attraverso questo percorso potremo ragionare del rilancio dello sviluppo abruzzese e soprattutto delle sue caratteristiche. Per noi il primo obiettivo, da inserire, in  una politica di cambiamento è la lotta alla precarietà del lavoro che, per le sue dimensioni, le sue conseguenze sociali, è divenuta oggi la piaga più insostenibile della condizione di molte lavoratrici e di molti lavoratori, finendo per permeare di sé la dimensione sociale della precarietà a partire dalla condizione dei giovani, e di una intera generazione. La nostra insistenza nasce dalla constatazione, più volte sottolineata, di quando la precarietà del lavoro si sia trasformata in precarietà sociale, come la crescita di insicurezza, l’assenza di una prospettiva del futuro, diventa, essa stessa,  elemento di riflusso, di stagnazione economica e di voglia di intrapresa. La ricerca condotta dall’Ires regionale sul fenomeno delle nuove disuguaglianze, ci dicono che due  elementi caratterizzano la situazione innescata dalla precarietà: un meccanismo di indebolimento della condizione delle famiglie, che mette maggiormente a dura prova le condizioni dei pensionati, che già penalizzati sul piano del loro reddito, devono oggi sostenere le generazioni successive che non hanno una prospettiva propria. Siamo la prima generazione dal dopoguerra che non immagina per i propri figli una condizione migliore della propria, anzi spesso ne prevede una peggiore. Per questo una proposta per contrastare la precarietà, è un punto centrale della ricostruzione del nuovo patto di cittadinanza. Una proposta che abbia come cardine il concetto di “lavoro economicamente dipendente” con la conseguente estensione dei diritti attribuiti oggi al lavoro subordinato, a tutte le fattispecie che sono economicamente dipendenti dalle imprese. Un patto che assuma da un lato il valore sociale di emancipazione e di liberazione del lavoro, come volano per un maggior benessere, coesione e democrazia; dall’altro che faccia della qualità del lavoro il nesso inscindibile con una maggiore specializzazione del sistema economico. In occasione degli Stati generali sul Lavoro avremo anche l’occasione, di parlare della crisi produttiva, dei disoccupati, dei giovani, di quella parte del mondo del lavoro, che noi chiamiamo garantito, ma dovrà trovare uno spazio importante, anche  la questione del lavoro nel campo delle attività socio-sanitarie, dove la mancanza del rispetto dei diritti contrattuali e prassi considerata normale. Anzi da molte Amministrazioni Locali considerata una pratica utile, per alimentare servizi dequalificati e di basso contenuto professionale. È necessario, quindi, entrare anche nel campo del lavoro nero ed irregolare, ma la prima forma di controllo deve essere esercitata nei confronti della Pubblica Amministrazione, vero e proprio capofila nel percepire vantaggi dallo sfruttamento dei lavoratori, attraverso la pratica consolidata degli appalti al massimo ribasso. Quali giudizi dare di quelle Amministrazioni pubbliche, che, ad esempio nel pulimento o nell’erogazione dei servizi sociali, aggiudicano le attività in base a costi  che non arrivano a coprire nemmeno la retribuzione oraria dei lavoratori occupati?. Sono domande che devono trovare risposte operative, pena la dequalificazione di interi settori di lavoro, in particolare nei servizi, dove le imprese sociali, le cooperative sono diventate strumenti di perpretazione di ogni abuso e mancanza di rispetto dei diritti contrattuali e di legge. Si può fare molto, facendo un passo al giorno, ma, soprattutto, dare il senso di marcia da parte di una classe politica, dirigente di questa regione, che un nuovo sviluppo, il cambiamento, non passa attraverso la pratica del lavoro dequalificato, utile ad una economia di basso profilo, annidato nei settori residuali, ma dalla coniugazione tra lavoro, diritti, saperi e libertà per una nuova stagione economica dell’Abruzzo. Questa è la proposta che noi avanziamo all’Unione, a livello regionale e nazionale. Questo nostro Congresso vive in una stagione di profonda unità del gruppo dirigente della Cgil, che pur non abbandonando le proprie identità, il proprio prezioso pluralismo, ha scelto la via di un Documento Unitario e della gestione unitaria dei gruppi dirigenti. Nasce  così un invito alla politica a fare altrettanto: sacrificare qualche differenza, per un progetto comune per il governo del paese. Lo facciamo offrendo una idea su come Riprogettare il paese, pur  ribadendo la nostra autonomia, con una proposta di largo respiro che pone alcune questioni centrali:

  • il lavoro, abolizione di tutte le norme che favoriscono i processi di precarizzazione, a partire dalla Legge 30, nata con l’obiettivo di rendere più deboli le tutele e la funzione della contrattazione collettiva;
  • gli immigrati, no alla legge Bossi-Fini, giunta a prevedere inaccettabili politiche di “accoglienza” e spesso a forme e atti privi di qualsiasi rispetto verso il valore della vita umana e della sua dignità;
  • il ripristino dell’idea di una scuola, distrutto dalle contro riforme del ministro Moratti, che non separa le persone e i loro percorsi sulla base delle condizioni del nucleo familiare. Sono state cancellate le più significative conquiste degli ultimi decenni: tempo pieno, innalzamento dell’obbligo scolastico, primato della scuola pubblica.

Una proposta che avanziamo con la certezza di non essere indipendenti rispetto al quadro politico che si dovrà formare dopo l’appuntamento elettorale di Aprile 2006. Il nostro è un ragionamento semplice: i contenuti del nostro Documento congressuale, le proposte che via, via avanziamo nel corso del nostro dibattito , le richieste di cambiamento, di svolta, di rilancio della solidarietà e delle politiche di inclusione, possono trovare risposta solo in un quadro politico mutato e più avanzato. Siamo però allo stesso tempo consapevoli che gli obiettivi che ci poniamo, e che poniamo nelle nostre piattaforme, sono raggiungibili, soprattutto, attraverso la nostra costante mobilitazione nella certezza che non ci sono governi amici, e quindi senza disarmare la battaglia rivendicativa e delle idee, ma solo governi con cui trattare. Un atteggiamento costante che non prevede particolari attenzioni o sconti a nessuno. La nostra idea di autonomia lo abbiamo esercita anche nella vicenda dell’ultimo Sciopero Regionale, per l’intera giornata, il 25 Novembre 2005. Uno Sciopero contro  una sciagurata Finanziaria Nazionale che ci ha riproposto assenza di crescita , conti pubblici in disavanzo,  tagli alla spesa delle Autonomie Locali e delle Regioni e riduzione degli investimenti in opere pubbliche ed infrastrutturali.Dimostrando così che questo governo non solo non può essere la medicina, ma è invece sostanzialmente anche una delle cause, non secondaria, della crisi.  E in particolare della crisi di fiducia che colpisce persone e imprenditori. Ma c’erano anche motivi, tutti abruzzesi, per rafforzare le ore di sciopero, nella nostra regione. Una per tutte, il  problema urgentissimo,  del rifinanziamento degli ammortizzatori sociali. Per l’Abruzzo, anche ai fini della tenuta sociale, questa è una  questione centrale. L’Abruzzo doveva  avere  nella Finanziaria un’esplicita riserva di fondi in grado di metterci in condizione, sia per la cig ordinaria che per quella straordinaria che per quella in deroga, di avere le risorse di cui c’è bisogno, per il mantenimento di una ipotesi di riconversione industriale.Lo abbiamo detto in tutte le salse:  l’Abruzzo, all’interno di un sistema paese fermo, paga, raddoppiando i danni sociali, un prezzo più alto. Stiamo restituendo alla crisi industriale, la tenuta produttiva ed occupazionale, mantenuta nel periodo precedente (1995-2000). È lontano il tempo delle forti performance dell’export abruzzese, quando l’Istat ci accreditò di un 34 % in più rispetto alla media nazionale (2000) e della sostanziale tenuta dell’assetto produttivo abruzzese in un sistema industriale italiano già in forte crisi. Mentre in altre aree del territorio italiano, da anni si sono avviate ipotesi, tentativi,  nuove imprese e processi di riconversione utilizzando le risorse a disposizione degli ammortizzatori sociali, l’Abruzzo giunge dopo e senza avere risorse sufficienti a disposizione. Ecco il motivo della rivendicazione: uno sciopero  PER LO SVILUPPO DELL’ABRUZZO, PER L’INDUSTRIA REGIONALE  e  PER IL RILANCIO DELLA VERTENZA ABRUZZO. Come è naturale, anche grazie alla partecipazione dei media, si è molto alimentata una discussione, tra di noi, sulla giustezza o meno di comprendere nella nostra piattaforma anche richieste nei confronti della  regione ed al suo esecutivo. In fondo erano ancora i  pochi i mesi di governo di centro-sinistra, mentre per il precedente abbiamo atteso molto di più. È vero, ma non è questo l’argomento giusto. Infatti noi abbiamo pensato allo sciopero dell’intera giornata per rafforzare un’attenzione sui problemi e sulla straordinarietà della profonda crisi, nella quale è precipitato l’Abruzzo, ma allo stesso tempo abbiamo segnalata una insoddisfazione nei confronti di un Governo regionale, che in molta parte dei suoi componenti non ha dimostrato attenzione alla straordinarietà della crisi abruzzese. Infatti lo Sciopero e la manifestazione, alla quale hanno partecipato, Assessori Regionali e rappresentanza Istituzionali di rilievo, non aveva l’intenzione di assumere particolare “virulenza” nei confronti della Giunta regionale e del Presidente Del Turco, ma stimolare l’azione di  un interlocutore importante per i nostri obiettivi di politica industriale e di rinnovamento dell’operato della Pubblica Amministrazione. Forse non avevamo del tutto torto, quando abbiamo detto che:

1) non si  può vivere questa fase di difficoltà straordinaria con atteggiamenti di ordinaria amministrazione,  ma al contrario attivare tutti gli strumenti utili al confronto con i grandi gruppi industriali e con tutti i grandi gruppi ex-pubblici che hanno letteralmente depauperata la nostra regione di servizi, ricerca e personale qualificato;

2) non si può sfuggire alla necessità di operare decise e precise inversioni di rotta in molti settori sociale, sanità, e politiche di programmazione;

3) bisogna avviare una profonda riforma della P.A., a partire dalla regione, per giungere agli Enti ed Agenzie partecipate, bisognose di immediati progetti di riqualificazione e di produzione di servizi più efficienti e meno costosi.

Uno sciopero quindi che ha avuto il valore di richiamo al rispetto, ma anche uno sciopero di doveroso richiamo alla responsabilità. Questa è la esemplificazione del nostro concetto di autonomia: sviluppare iniziative per raggiungere gli obiettivi contenuti nella nostra Piattaforma, a prescindere dai Governi. Un Segretario di Camera del lavoro, che non cito per ragioni di riservatezza, ha richiamato  nella sua  introduzione un pensiero di Che Guevara, per dirci cosa bisogna fare con questa Giunta regionale, ma anche nei confronti di giunte di altri livelli. Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza. Questo è anche il nostro pensiero. I tempi rapidi dell’impegno sono dettati da quanto abbiamo ereditato da una legislatura, governata dal Centro-destra. L’attuale situazione dell’Abruzzo rende evidente  il  fallimento della linea che il governo regionale di centro-destra ha seguito nel campo della politica di bilancio, della politica sociale, della politica economica. Nel nostro precedente Congresso, abbiamo profetizzato, senza averne il dono, ma solo con i dati alla mano, un avvio dell’Abruzzo verso il dissesto finanziario. Una impalcatura di Bilancio regionale e di finanziaria, poggiata su entrate illusorie a sostegno di politiche di spesa clientelari e a pioggia. Era evidente, l’intento speculativo ed elettorale, infatti, proprio quel giorno venne pubblicata la sentenza del TAR che, sembrava, rinviasse alle nuove elezioni regionali. Non è che questa circostanza giustificasse quel tipo di Finanziaria regionale, ma almeno se ne capiva il motivo contingente. Le elezioni, come è noto, non state riconvocate, ma il Governo regionale ha proseguito lungo il percorso varato. Ma d’altra parte, a prescindere dalle, noi denunciate, frodi e dai falsi contenuti nella Finanziaria, non era possibile attenderci di più da una Giunta, e da una maggioranza che, nell’arco di un quinquennio non ha saputo produrre una sola, dico una, legge programmatica e di settore. Negli anni sono stati approvate Finanziarie regionali  senza anima politica,  fotocopia l’uno dell’altro, statici,  ingessati e non trasparenti (in diversi capitoli tra spesa corrente e spesa di investimento), a tale punto, provocando il rischio di dissesto finanziario. Non è un caso  che per ben cinque volte consecutive i Bilanci Preventivi  non hanno trovato consenso di maggioranza e procurato l’esercizio provvisorio con problematiche per  le politiche di investimento e di sviluppo. L’attuale Bilancio e Finanziaria regionale 2006, proposto dalla Giunta Regionale di centro-sinistra, ed approvato dal Consiglio Regionale nei tempi previsti, ha prodotto un miracolo, a distanza di cinque anni l’Abruzzo non ricorrerà all’esercizio provvisorio, mettendo immediatamente a disposizione, dello sviluppo e delle attività, le risorse previste. L’Assessore al Bilancio correttamente ha definito, lo strumento finanziario approvato, “Bilancio di transizione”. Non poteva essere altrimenti  viste le premesse finanziarie, ma, anche, tenuto conto di mancate e precise indicazioni programmatiche, che dovranno, attraverso le future leggi regionali trovare la dovuta coerenza. È questo il problema, sollevato da noi, in tutte le occasioni quando  abbiamo contribuito, con le nostre iniziative e con le nostre lotte, a rendere chiara questa situazione, ad annunciare la debolezza dell’impalcatura politica-legislativa dell’Esecutivo regionale.

Ma l’elemento centrale, che rese sicuramente più debole, l’esecutivo di centro-destra è stata la sua divisione proprio quando, per gli errori e la responsabilità della sua azione, i problemi della regione, invece, si facevano  più delicati, più forti e quindi come tali reclamavano  un’azione di svolta radicale nelle modalità di riforme legislative e di programmazione. Noi crediamo che quella politica sia fallita sostanzialmente su alcune questioni, quando la Giunta Regionale di centro-destra:

  • ha dichiarato irresponsabilmente la positività della propria azione sull’innestarsi di un ciclo di sviluppo, neppure partito e che si sarebbe consolidato, mentre tutti i segnali  prevedevano un andamento congiunturale recessivo;
  • ha creduto, e fatto credere che questa  dinamica non richiedesse politiche di programmazione e di uso attento delle esigue risorse a disposizione;
  • ha insistito nel chiudere gli occhi di fronte ad un taglio drastico di risorse a disposizione dello sviluppo

Si è creata, quindi, una frattura  fra annunci (abbiamo parlato di Giunta degli annunci e degli eventi)  promesse e fatti. Abbiamo detto più volte che le promesse, anche le più inverosimili, sono concretizzabili solo se produci ricchezza, solo se hai capacità di creazione di risorse da mettere a disposizione. È simpatico notare che, oggi, molti commentatori  scoprono che la finanza regionale è allo sfascio. E talvolta lo dicono con toni che sono molto simili a quelli che in assoluta solitudine da anni noi stavamo predicando. Forse lo sciopero, voluto dalla Cgil Abruzzo, nel 2003 non era politico o suppletivo della debolezza di lettura della situazione di aree politiche della sinistra, come maliziosamente insinuava qualche giornalista, non era uno sciopero inutile, dannoso e pericoloso. Ma un invito a prendere atto della crisi economica, produttiva e sociale della regione, ma anche un No alla politica plebiscitaria ed oligarchica, oppressiva nei confronti delle forze sociali e del loro ruolo, insieme al tentativo di mettere all’angolo la CGIL, con la proposta avanzata dalla Giunta Regionale di centro-destra, respinta solo da noi, ad un fantomatico Patto per lo Sviluppo dell’Abruzzo. D’altra parte quando non si condividono le stesse analisi, continuiamo a chiederci, come è possibile fare Patti, per intervenire su una situazione economica che la giunta di centro-destra all’epoca, al contrario di noi che parlavamo di declino, definiva rosea. Infatti abbiamo parlato di un Caso Abruzzo, portando, da soli in piazza la nostra analisi,  la nostra protesta e la nostra proposta. Il declino industriale, la perdita di capacità competitiva, l’arretramento dei servizi sociali e sanitari, la crescita di occupazione precaria e l’impoverimento dei ceti popolari erano presenti con le analisi dei fabbisogni, delle esigenze e delle risorse nella nostra piattaforma. Abbiamo chiesto una politica di rigore e di sviluppo. Non abbiamo ricevuto risposte, ma siamo stati in campo. A distanza di tempo le analisi congiunturali di Confindustria, la relazione della sede regionale della Banca d’Italia, giunte a conclusione  di guasti già prodotti, hanno parlato di un Paradosso abruzzese: crescita zero, ma occupazione precaria in crescita, il che lascia emergere l’affermarsi di una imprenditoria legata all’andamento di una struttura economica e produttiva  debole ed operativa in settori residuali. Naturalmente non siamo alla ricerca della semplice soddisfazione di chi l’aveva detto per primo, ma indichiamo  la necessità di progetti politici in grado di rilanciare l’Abruzzo. Senza meno la nostra regione, seppur di poco, ha una nuova possibilità di crescita dopo tre anni in cui siamo  rimasti  sostanzialmente fermi, ma non ci deve sfuggire che questa ventilata  ripresa può essere anche di corto respiro, perché fortemente dipendente dalle scelte legate ad altri mercati e di altri paesi. Per noi, è necessario verificare  che la parte più positiva di questa ripresa riguardi  essenzialmente la produzione dei servizi e la produzione agro-industriale, ma se non è così, e gli ultimi indicatori (Svimez) sembrano confermare questa preoccupazione, dobbiamo chiederci se è sufficiente accontentarsi dell’apporto, che il valore aggiunto della trasformazione industriale, reca a questa crescita dovuta all’export abruzzese, dalle multinazionali presenti. Il polo elettronico, nell’aquilano, e dell’intero settore delle  telecomunicazioni  non rappresentano più un punto di riferimento della politica degli investimenti e dello sviluppo regionale. Diminuisce la possibilità di aree produttive dove è possibile una crescita delle possibilità degli investimenti, operando in un contesto di  emergenza alla quale far fronte. Solo che questa volta questa emergenza finisce per riguardare una minore crescita attesa della regione. Se a questo dovessimo aggiungere,  la nuova riduzione dei trasferimenti agli enti locali, alle  aziende pubbliche e ai volumi di spesa dello stato sociale, non potremmo che prendere atto di un declino e di una involuzione che riguarda  l’altra componente dello sviluppo, la domanda, dei consumi da parte  dei ceti più esposti :  gli anziani, i giovani, i disoccupati. Il reddito medio pro-capite abruzzese è già al disotto di quello nazionale, delineando una nuova emergenza della qualità del vivere sociale e collettivo. L’Abruzzo è oggi assoggettato, ad un forte calo dei consumi, mentre gli indicatori già parlano, nell’anno 2005, di un PIL negativo. Sono gli effetti della mancanza di un intervento da parte del Governo che non ha voluto accogliere il nostro accorato allarme, su quello che sarebbe accaduto, nella regione, alle prese con un drastico ridimensionamento del proprio tessuto industriale, dovuta alla palese assenza di una politica industriale e in presenza del taglio delle risorse al settore delle telecomunicazioni, dell’abbandono di ogni  ruolo  nella chimica e nell’alimentazione e della mancata previsione del disastro avvenuto nel Tessile Abbigliamento e Calzaturiero. Con il rinvio dell’incontro, sulla Vertenza Abruzzo, (sono passati più di quattro mesi ormai), con  il sotto-segretario on. Letta,  il governo ha gettato la maschera, dimostrando che esso non intende impegnarsi sulle vertenze e, soprattutto, non dare seguito agli impegni già assunti in sede di trattativa nazionale. Noi abbiamo chiesto alla Giunta Regionale e al Presidente, e  ribadito in un incontro  svoltosi recentemente, di schierarsi e sostenere, con maggiore vigore, l’azione del Sindacato abruzzese sui temi dello Sviluppo, dell’Industria e su quella che abbiamo definita la Vertenza Abruzzo. Abbiamo detto, scritto e comunicato che siamo arrivati ad un punto critico rispetto al quale tutto l’Abruzzo, le sue istituzioni, le forze sociali e i cittadini, devono reagire con  fermezza. E’ essenziale mobilitare l’intera regione nei confronti di un governo che sfugge alle proprie responsabilità, farlo oggi anche per domani, anche di fronte ad un Governo diverso. Abbiamo la necessità di costringere il Governo a svolgere un ruolo positivo nei confronti di una regione che si avvia verso un declino industriale e sociale di proporzioni enormi. Dobbiamo assumere l’impegno che, in assenza di risposte positive, l’intero Abruzzo, dovrà dire la propria sotto le finestre di palazzo Chigi. Dire al Governo che una intera regione non accetta l’inganno delle parole e delle false promesse. Un mancato intervento che ha prodotto un infinito elenco di aziende in crisi, in tutti i settori ed in tutti i territori: le prime vittime sono la Sadam di Celano, la Teleco di Roseto, la Solvay di Bussi, la Golden Lady di Gissi, che si aggiungono alla grave e drammatica crisi del polo Elettronico de L’Aquila, dell’intero settore informatico e delle telecomunicazioni. Olit, Finmek, Lares Tecno, Siemens, ma oggi dobbiamo aggiungere anche Denso, sono le punte emergenti di una crisi che riguarda ormai centinaia di aziende, piccole e medie, che non fanno notizia, ma rappresentano un elenco troppo lungo da descrivere, che annuncia una situazione difficile e  tempi duri per i lavoratori e le lavoratrici. Un quadro preoccupante, aggravato dalle previsioni di una Finanziaria che  non rinnova le assunzioni dei lavoratori a tempo determinato nella Pubblica Amministrazione, riduce il numero degli operatori scolastici, taglia risorse al Fondo Unico dello Spettacolo,  toglie, già nel 2005, all’Abruzzo risorse al Sociale di 12,5 milioni di Euro, mettendo in discussione servizi, ma anche salario a chi ha già lavorato. Altri lavoratori in difficoltà e senza stipendi, che andranno a battere cassa agli Enti Locali già taglieggiate da una Finanziaria che, non ci stancheremo di ripetere iniqua, ingiusta e distruttrice dello Stato Sociale del nostro paese. Un attacco, questo, furibondo alle possibilità di azione delle Amministrazioni Locali impegnate nella difesa della qualità della vita dei cittadini. Se non diamo risposte possibili,si intraprende la strada maestra del superamento delle previsioni più pessimistiche: galoppare verso la soglia dei ventimila lavoratori e lavoratrici che rischiano di perder il posto di lavoro. Milioni di ore di Cassa Integrazione Guadagni,  centinaia di vertenze  che, nonostante gli annunci di soluzioni a portata di mano non trovano una soluzione. Una parte importante  del nostro sistema manifatturiero è entrata in grandissima difficoltà più pesante rispetto ad altre realtà del paese  che, lo ripetiamo, hanno subito una crisi più rarefatta nel tempo e con maggiori strumenti di governo, compresi gli ammortizzatori sociali. Addirittura anche il settore trainante, quello delle costruzioni, quello che da dieci anni a oggi ha sostenuto una parte consistente della piccola tenuta zero del PIL abruzzese, dà segni di recessione. Ma se vogliamo parlare di sviluppo ci sono altre, ed importanti questioni da mettere in Agenda,

 Legge quadro regionale sulle attività produttive.

I recenti dati sulla crescita della Cassa Integrazione Guadagni, ci dicono chiaramente che, con il 2004, non si è chiusa l’onda lunga della crisi con la perdita dei solo 17.000 posti di lavoro nell’industria.

Si giustificano, purtroppo, le nostre più nere previsioni.

Un processo iniziato, anche per  le scelte incomprensibili, di politica economica ed industriali del Governo Berlusconi.

Per l’Abruzzo l’arresto della  fase di crescita si era già evidenziato da tempo, ma il torpore delle classi dirigenti, ci indusse, dopo la denuncia inascoltata di questo rischio, sin dal 2002, a proporre una forte iniziativa, per creare un’attenzione ed una unità di intenti su come affrontare la situazione.

Le risposte, soprattutto quelle provenienti da ambienti del centro-destra, non sono andati oltre gli insulti nei confronti della Cgil accusata di catastrofismo e di speculazione politica di  professione.

È già cronaca odierna rammentare le iniziative che da sola, con lo Sciopero Regionale del 21 Febbraio 2003, e poi congiuntamente, con CISL ed UIL, abbiamo svolte.

Il non avere raccolto quell’allarme che riguardava, e riguarda, la necessità di un riprogettazione del modello di sviluppo abruzzese, che una volta raggiunto il suo apice, ha imboccata la via del lento declino, fino a manifestarsi, in questi ultimi anni, con fenomeni di espulsione della forza lavoro, un termini di migliaia di unità.

Più di tremila posti di lavoro nell’Industria sono stati persi nel triennio che va dal 2001 al 2003, un andamento consolidatosi negativamente sia nel 2044 che nel 2005.

Abbiamo detto che, proprio in questa  fase contrassegnata da una profonda crisi congiunturale internazionale, era doveroso riflettere su come affrontare e prepararsi alla ripresa economica.

Su come dare risposta ai limiti perenni dell’Abruzzo in ritardo sulla funzionalità della Pubblica Amministrazione, della dotazione infrastrutturale e dell’avvio di una profonda riqualificazione del Mercato del lavoro.

Tre temi denunciati in uno studio della Fondazione Siemens-Ambrosetti.

La Giunta passata ha preferito nascondere la testa nella sabbia e ribadire una visione rosea della situazione abruzzese.

Una lettura, dell’Abruzzo, che non è stata condivisa dall’elettorato che ha premiata l’impostazione programmatica del presidente Del Turco incentrata sulla lettura critica della situazione abruzzese e  del ruolo subordinato dell’Istituzione Regionale nei confronti del Governo Nazionale.

Ora però giunge il punto più difficile: fare emergere nel vissuto quotidiano  la nuova impostazione promessa nella fase elettorale.

La chiamata al governo di tutte le forze interessate alla realizzazione di un nuovo Progetto di sviluppo dell’Abruzzo.

Il riferimento riguarda il vasto processo di confronto e concertazione, organizzato ed esigibile, in grado di coinvolgere i corpi intermedi e le rappresentanze sociali della società abruzzese su di un’analisi condivisa sullo stato reale dell’economia regionale e su i suoi  segni crescenti di crisi e di debolezza strutturale.

Una mancata risposta sarebbe un errore tragico e spegnerebbe sul nascere la voglia espressa dagli abruzzesi a cambiare rotta e ad impegnarsi con fiducia su una nuova prospettiva di sviluppo.

È ormai giunta l’ora di fissare il contenuto dell’Agenda politica abruzzese fissando priorità, tempi ed obiettivi delle realizzazioni perseguite sul terreno programmatico ed operativo.

Senza iattanza, ma solo per dare un contributo al dibattito già in corso, segnaliamo le urgenze legate alla crisi produttiva ed alla necessità di recuperare risorse autonome necessarie allo sviluppo abruzzese, per intervenire in una realtà dove calano gli investimenti, si riduce la domanda interna, mentre  le esportazioni sono sostenute soltanto dai grandi gruppi multinazionali presenti in Abruzzo.

L’andamento del PIL, già negativo dal 2003, e dei dati di occupazione confermano la debolezza di un sistema incentrato su produzioni tradizionali e a basso tasso di crescita, mentre si riduce la partecipazione nei settori ad alto tasso di innovazione.

Le principali cause dell’attuale crisi, rappresentate dal  sottodimensionamento delle imprese, dalla carenza di innovazione e internazionalizzazione, dal difficile rapporto tra imprese e credito, dall’insufficiente formazione per lavoratori e piccole imprese, sono un fattore  strutturale.

L’assenza, negli ultimi anni, di una seria politica industriale, ha aggravato gap e ritardi già annidati in una struttura industriale che rimane, rispetto ad altre aree  direttamente concorrenti, la più ricca di piccole imprese, a malapena sostenuta dalla presenza di grandi gruppi industriali, i cui centri decisionali sono estranee alla realtà abruzzese.

Per quanto in particolare riguarda la ricerca e l’innovazione, la riduzione degli investimenti pubblici e privati ha penalizzato  anche la partecipazione del sistema produttivo della nostra regione alle politiche e ai programmi nazionali ed europei, con il rischio di ulteriori danni per il futuro delle nostre industrie, tagliate fuori dalle ricadute di importanti progetti.

La Regione, inoltre, non ha saputo mettere a sistema le risorse pubbliche e private esistenti e di attivare un circuito virtuoso ricerca-innovazione-trasferimento tecnologico per la competitività del sistema produttivo e dei servizi, pubblici e privati.

Diviene quindi essenziale  una politica per la ricerca e l’innovazione a partire dal territorio.

L’impegno prioritario per modificare in positivo le cause della crescente crisi di competitività consiste in forti politiche di ricerca, trasferimento tecnologico, innovazione e  formazione, da coniugare con una politica industriale in grado di scegliere e monitorare priorità e risorse.

Infatti, nel nostro sistema industriale, accanto a problemi di struttura, è carente sia una politica di governance, sia una rete di credibili istituzioni di orientamento e di controllo delle politiche industriali e del risparmio a sostegno degli investimenti in ricerca  sviluppo.

A tale fine è sufficiente ricordare la fine ingloriosa della proposta sull’Ente di Sviluppo Abruzzese (ESA), da noi sollecitata, anche se non condivisa completamente, ma  meritevole di attenzione vista la necessità  di un cervello superiore (centro di comando) per lo sviluppo industriale regionale.

La nostra insistenza nasceva, a tale riguardo, dalla ricerca di strumenti in grado di realizzare la necessaria  coerenza tra  gli orientamenti che stanno maturando nell’Unione Economica Europea, e l’avvio, congiunto, di politiche di sviluppo locale e  politiche di settore.

Ad esempio, per  quanto attiene ai sistemi territoriali, le trasformazioni del modello produttivo e la stessa internazionalizzazione dei mercati intrecciano sempre più tessuto produttivo e dinamiche territoriali.

Diviene pressante l’esigenza di un’attiva politica regionale e locale di sviluppo e di innovazione dei sistemi produttivi (industria, agricoltura, servizi, pubbliche amministrazioni), condivisa con le parti sociali e strettamente integrata con la gestione delle politiche nazionali ed europee, come prevedono gli ampi spazi legislativi e gestionali riconosciuti alle Regioni dalla riforma del titolo V della Costituzione.

E’ necessario adottare modelli di sviluppo e di internazionalizzazione, che consentano di costruire sistemi regionali integrati, incentrati su una rete di infrastrutture tecnologiche e formative in grado di potenziare e qualificare l’offerta di ricerca e innovazione e di offrire opportunità competitive anche alle PMI.

In questo ambito, una seria politica di sviluppo locale, incentrata ad esempio sui distretti, riammodernati e rinnovati,  può consentire un reale salto di qualità, sé  collocata tra le priorità di un più complessivo piano regionale di rilancio delle politiche di innovazione e trasferimento tecnologico, gestito a livello territoriale.

Esiste un livello generale d’intervento, che riguarda il Governo, ed esistono alcune cose che si possono fare anche a livello di singola regione.

In questa direzione è utile una valutazione della Piccola Impresa in Abruzzo: una modalità specifica del modello di sviluppo abruzzese, caratterizzata da un basso numero di addetti e da un basso contenuto di ricerca ed innovazione.

Bisogna trovare i percorsi per elevarne la dimensione media e rafforzarne i contenuti tecnologici.

Lo snodo fondamentale è la ricerca applicata, che potrebbe essere sostenuta da appositi Fondi previsti in una Legge Regionale, riguardanti PMI inserite nei Distretti Industriali: il solo fatto di mettere assieme una pluralità d’imprese costruisce sinergie, economie di scala ed esterne.

Se a ciò si sommasse una riforma dei Distretti, le chances delle PMI aumenterebbero di certo, anche all’interno di una fase recessiva.

La riforma dovrebbe essere connotata da due caratteristiche:

– lo Sportello Unico Attivo; un organismo locale che, agendo su delega dell’Imprenditore, assuma il compito di sbrigare qualsiasi pratica amministrativa ed autorizzativa, che costituiscono per le PMI un intralcio burocratico rispetto al quale non hanno capacità organizzativa e conoscenze per farvi fronte. In questo senso potrebbero essere utilizzate le attuali Camere di Commercio;

– Strutture di ricerca locale; impegnate, con l’ausilio di CNR, di centri di ricerca ed Università, a produrre quella ricerca applicata che può sostenere le vocazioni dei Distretti. La ricerca di base, sempre indispensabile, potrebbe essere prerogativa dei Distretti più grandi, delle Università e della Grande Impresa.

Quindi una riforma del sistema della ricerca integrata con la riforma dei Distretti potrebbe rendere dinamica e competitiva la Piccola impresa.

Sylos Labini in una conversazione che annunciava un suo scritto sulle diagnosi in elaborazione sulla congiuntura economica mondiale, indica un ulteriore strumento che sono i luoghi: aree dedicate in cui fare “la piccionaia”, con EE.LL, Università ed Imprenditori che insieme costruiscono incubatori di imprese a partire da piccole idee innovative di cui curano la realizzazione ed il posizionamento nel mercato.

Un’idea collaterale può consistere nella possibilità, per chi si trovi in quelle condizioni e ne abbia intenzione, di capitalizzare la Cassa Integrazione per mettersi in proprio costituendo piccole imprese di qualità.

Dal punto di vista del sostegno economico riteniamo  che la soluzione più equilibrata possa consistere nel costruire nei Distretti Consorzi di banche a fronte di Consorzi di Imprese, con l’indubbio vantaggio di minimizzare i rischi ed avviare rapporti più profondi fra le parti. Indubbiamente vi è anche un ruolo sostenitore dello Stato, ma anche della Regione nel fare sistema, che dovrebbe scegliere proprio la PMI come fattore da incentivare attraverso il sostegno alle politiche di sviluppo e ricerca, perché in questa dimensione appaiono maggiori le chances di un contributo all’economia della regione in una fase  recessiva come quella attuale.

Infine, spetta alla Regione attivare politiche innovative ed ecosostenibili in materia di agricoltura, artigianato, territorio ed aree urbane, anche al fine di migliorare l’ambiente e la qualità della vita.

Per quanto attiene alle politiche di settore, si tratta di valorizzare al massimo i punti di forza del sistema industriale abruzzese, che costituiscono la quota prevalente del sistema d’esportazione (meccanico, abbigliamento, mobile-arredamento); di rafforzare i settori in cui il patrimonio di ricerca e conoscenze costituisce la leva fondamentale; di favorire la crescita dei settori innovativi, dai quali si attende una ricaduta trasversale su altri settori (quali ICT, spazio, robotica, biotecnologie, energia rinnovabile, materiali).  Diviene urgente l’apertura di un  confronto sulle seguenti priorità da porre a base degli interventi:

Legge regionale dedicata, che definisca obiettivi, strumenti e risorse di una politica regionale per la diffusione dell’innovazione nel territorio e per il sostegno diretto al sistema produttivo e dei servizi,  nel quadro sistemico del sostegno nazionale e funzionali al posizionamento competitivo delle strutture di ricerca e produttive nel contesto internazionale.

Strumenti fondamentali sono:

  1. a) piano regionale sulla ricerca che – condiviso dalle parti sociali – definisca obiettivi prioritari, modalità di gestione e risorse finanziarie disponibili, raccordando rispetto agli obiettivi le risorse provenienti da diversi canali, anche attraverso la realizzazione di accordi di programma quadro integrate con risorse autonome della Regione.
  2. b) definizione di risorse dedicate per finanziare gli interventi programmati.

Si rende opportuno il confronto con il mondo finanziario, delle banche e delle Fondazioni, per l’eventuale coinvolgimento di capitali privati a sostegno di progetti industriali di innovazione;

Per fare un solo Abruzzo è necessario promuovere, in ambito regionale anche con il conforto di risorse e incentivi nazionali, la messa in rete di Università, Enti e Centri pubblici di ricerca – sul modello di poli tecnologici funzionali – per intrecciare e concentrare risorse intellettuali e strumentali, da finalizzare prioritariamente alla creazione di servizi per l’utilizzo della ricerca scientifica e per il trasferimento tecnologico da parte del tessuto produttivo, privato e pubblico;

Una ulteriore opportunità, riguarda la messa in rete di poli tecnologici competenti su settori analoghi, qualora abbiano particolare rilevanza scientifica, tra Regioni diverse, reti in grado di integrare le risorse autonome  della Regione con quelle derivanti da Fondi Europei e dai Fondi Interprofessionali per i lavoratori occupati.

Formidabile può essere l’occasione fornita dalla disponibilità espressa dai grandi Gruppi industriali, presenti in Abruzzo, a volere partecipare e farsi coinvolgere nelle fasi di elaborazione di processi di sviluppo locale, per costruire e/o accelerare la realizzazione di poli tecnologici nei distretti industriali e nelle zone di produzione agro-alimentare  di origine controllata e di qualità, anche al fine di sollecitare un diverso approccio all’innovazione da parte delle imprese, finalizzato:

  1. a) alla sperimentazione di nuove tecnologie;
  2. b) ad una forte integrazione intersettoriale;
  3. c) allo sviluppo delle competenze interne all’azienda;
  4. d) a sostenere adeguate politiche per la formazione e il diritto allo studio, ai Tecnici Specializzati (IFTS), lauree, master e dottorati, prevedendo certificazioni delle competenze leggibili e spendibili anche nel mondo del lavoro;
  5. e) prevedere un impegno straordinario per l’inserimento di giovani ricercatori per recuperare il gap quantitativo che ci separa dalle regione più sviluppate, che hanno fatto accordi con le Università per dotarsi di migliaia di ricercatori.

In tale modo sarà possibile favorire la nascita di una nuova generazione di accordi territoriali, che prevedano la collaborazione stabile tra università, centri di ricerca, imprese e/o servizi pubblici e privati, in grado di definire una politica regionale di incentivazione dell’attività di Ricerca delle imprese con  obiettivi coerenti e modalità che assicurino la qualità dell’innovazione e parametri per la misurazione delle ricadute in termini di prodotti e di occupazione.

A tale fine gli Assessori regionali alle Attività Produttive e l’Assessore regionale al lavoro  (ognuno per le proprie competenze) dovranno  dotarsi di una sede e di uno strumento.

Una ulteriore priorità, a livello regionale, deve essere  l’attivazione di tavoli di confronto, con i grandi gruppi industriali e  con la partecipazione dei soggetti istituzionali competenti, relativo ai provvedimenti che la Regione assumerà in materia.

Un tavolo che  dovrà lavorare per verificare la coerenza  degli obiettivi, l’integrazione con le più generali politiche industriali e di crescita civile ed economica della Regione, la sinergia con le politiche dell’Unione Europea dovranno essere condizione di efficacia degli investimenti locali, per far fronte alla difficile competizione internazionale attraverso una ricerca più interdisciplinare, più internazionale e con un maggiore collegamento tra ricerca di base ed applicata.

Un lavoro già iniziato dall’Assessorato alle Attività produttive è un buon segnale, ma bisognerà metterci maggiore lena.

Il tavolo dei Grandi Gruppi  dovrà occuparsi, inoltre, di un  tema prioritario: la localizzazione dell’indotto, in un’ottica meno spontanea e più guidata, perseguendo obbiettivi di riequilibro territoriale e reindustrializzazione.

Quest’ultima questione deve essere vista anche come importante risposta agli accordi sindacali, sottoscritti con le imprese, a partire da quello Sevel.

Azioni come questa devono essere accompagnate dalla messa a punto di opportunità localizzative a favore delle aree interne facendo scelte conseguenti  nella Finanziaria regionale e con le leggi di settore.

Le confederazioni sindacali, hanno chiesto, inoltre, ed invano, negli anni passati l’assunzione di  una norma di carattere generale impegnativa per tutti gli atti legislativi: la previsione di una quota di riserva per le aree interne.

Ma anche dall’apparato industriale esistente possono arrivare occasioni.

Ad esempio l’accordo Micron.

Il recente accordo sottoscritto con la Micron (1.600 occupati) dal sindacato abruzzese, confederale e di categoria a tutti i livelli, , è la vicenda recente che aggiunge più credibilità alla battaglia  per la difesa, il consolidamento e l’ampliamento dell’apparato produttivo insediato  nella regione.

La Micron, partita da posizioni ideologiche di rifiuto del sindacato, ha convenuto e sottoscritto  impegni che offrono molto spazio all’azione del sindacato a livello aziendale, oltre che sedi di monitoraggio aperte al territorio.

La Micron, che aveva minacciato il declino dello stabilimento di Avezzano, si è impegnata, con un accordo con i sindacati, a preservare nel tempo, attraverso nuovi investimenti e una nuova qualità dell’intervento a favore del territorio.

Analoga operazione abbiamo chiesto alla Giunta regionale, nei confronti della Sevel, ma non siamo neanche agli inizi, mentre è necessario proseguire con l’azione messa in campo per la Denso, con i lavoratori oggi alle prese con un Piano Industriale che si propone di restringere produzione ed occupazione.

Non deve mancare  il coraggio e la voglia di affrontare un terreno così impegnativo.

Attraverso questo percorso, la  regione  e le parti sociali, potranno condividere  l’esigenza di un profondo cambiamento delle politiche regionali per l’industria,  la ricerca ed innovazione perseguite negli ultimi anni.

 Grandi gruppi ex- pubblici

Oltre ai grandi gruppi privati, come Fiat, Magneti Marelli, Denso, Honda, Pilkington, Honeywell, Micron, Burgo, ecc, è decisivo affrontare il problema della presenza declinante dei grandi gruppi pubblici o ex-pubblici, fornitori di servizi, infrastrutture, reti di importanza vitale per lo sviluppo, come Telecom, Enel, Eni, Agip, Ferrovie, Poste, Autostrade.

Questo tema è patrimonio comune del sindacato abruzzese, e deve essere oggetto non più tanto di dibattito, quanto di azioni sindacali determinate e sistematiche.

Si tratta di rivendicare quote certe e quantitativamente adeguate di investimenti, progetti, opere, invertendo la tendenza al ridimensionamento e al disinvestimento, che è costata all’Abruzzo consistenti perdite dirette, tecnologiche, occupazionali e professionali, e in termini strategici, data l’importanza dei prodotti, dei servizi, delle infrastrutture primarie e delle reti che fanno capo a questi gruppi.

L’Abruzzo è stato spettatore distratto di un vero e proprio scippo di risorse materiali, intellettuali e di lavoro. Non ha saputo reagire alla fuoriuscita di lavoratori, dirigenti e tecnici, di ogni livello unitamente ai centri direzionali e decisionali. Un processo di privatizzazione, e non di liberalizzazione come richiesto dall’Europa, che ha riguardato tutti i settori ex-pubblici.

Alle acquisizioni private, per noi, sono subito seguite le conseguenze dei Piani Industriali che hanno tutte previste riduzioni per l’Abruzzo.

Gli attuali gestori pur continuando a fornire servizi all’Abruzzo si sono, quasi tutte, lanciate nei meandri di opulente attività finanziarie, immobiliari e bancarie,  mentre non rammentiamo investimenti in attività di servizio e tanto meno in attività produttive.

Per l’Abruzzo non c’è stato niente, solo spoliazione, ma non c’è stata neanche una reazione solidale con le proteste sindacali.

Solo dall’Enel sono pervenuti esuberi pari a circa mille posti di lavoro, mentre per i restanti gruppi tra mobilità, esuberi e pensionamenti, mai rimpiazzati, possiamo parlare di un esodo di almeno altri mille posti di lavoro.

Ma il danno più grave, inferto all’Abruzzo, è stata la perdita di energie intellettuali e tecniche, utili a processi di fertilizzazione progettuali del territorio.

Da queste considerazioni nasce la nostra insistenza sulla necessità di un confronto con i grandi gruppi ex-pubblici.

Credito e Sistema finanziario,

Il ruolo del credito nello sviluppo delle economie locali è molto importante. Può essere considerato uno dei fattori primari per sostenere i processi di crescita del territorio.

Soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo e in declino industriale, oltre che in quelle in fase di crescita, la presenza di una efficiente struttura finanziaria costituisce una delle premesse indispensabili per il decollo ed il consolidamento del sistema produttivo economico.

Se il sistema bancario aiuta a crescere l’economia, cresce lo stesso sistema bancario; si attiva un circolo virtuoso.

L’Abruzzo, pur fuori dall’Obiettivo 1, è ancora da annoverarsi tra le regioni meridionali per il sistema credito, tanto che viene di fatto inserito da Bankitalia nella macro area Sud Isole in tutti i rapporti di sistema elaborati dalla stessa.

I meccanismi di accesso al credito nelle regioni della macro area, caratterizzate tra l’altro da uno sviluppo debole, sono notevolmente più restrittivi soprattutto a causa dell’alta rischiosità.

In Abruzzo il denaro ha un costo medio del 7,6%, di 2-3 punti superiore alla media nazionale,  i costi accessori di intermediazione sono  più alti.

Nel 1990 in Abruzzo operavano ancora 30 aziende di credito (comprese le BCC) con sede legale in regione e piena autonomia societaria.

Oggi la situazione è notevolmente mutata. Le banche con sede legale in regione sono 13, soltanto 10 con autonomia societaria , mentre 4, pur avendo sede legale in Abruzzo e marchio proprio, appartengono a gruppi bancari extraregionali.

Si è rafforzato un processo di colonizzazione delle banche locali abruzzesi.

Il 70% del risparmio viene utilizzato per investimenti al nord del paese, le banche restano prevalentemente sganciate dal territorio produttivo della regione.

Abbiamo assistito  al fallimento del progetto di realizzare una holding finanziaria regionale che avrebbe aggregato le quattro Casse di Risparmio e assunto una funzione di moderazione del costo del denaro operando sull’erogazione del credito speciale alle aziende in difesa e a sostegno delle piccole e medie imprese, stabilizzando verso il basso i tassi di interesse passivi.

L’ipotesi era quella di creare un polo regionale del credito che portasse ad una funzione unitaria ed omogenea orientata al riequilibrio economico dei vari territori, in particolare delle aree interne. Un sistema a rete teso a dare risposte adeguate alle esigenze finanziarie delle piccole imprese per consentire l’adeguamento tecnologico e di informatizzazione, per rafforzarne la dimensione patrimoniale e renderle capaci di affrontare il fenomeno della globalizzazione con maggiore produttività, con una produzione di qualità idonea a  penetrare con maggiore incisività i mercati e reggere le sfide della competitività.

Il sistema creditizio è uno dei rilevanti fattori della competitività. Paradossalmente in Abruzzo è stato polverizzato, divenendo quasi tutto preda dei gruppi bancari extraregionali.

Ciò è il risultato di una miopia e di una ottusità politica tesa a salvaguardare il proprio orticello, anziché tendere al rafforzamento del sistema.

La Finanziaria Regionale FIRA avrebbe dovuto essere potenziata e riqualificata in modo da consentirle di competere con il sistema bancario privato, con l’obiettivo di calmierare e moderare il costo del denaro e accompagnare gli investimenti liberandoli dai sistemi estremamente burocratici e consentendone l’accesso al credito.

Oggi anche la FIRA è diventata strumento di soccorso al disavanzo della Sanità, che ormai presenta una dimensione incontenibile perdendo la coerenza alla funzione originaria per la quale la Finanziaria è stata costituita.

In questa situazione di radicale e rapida trasformazione il Sindacato, ha proposto l’istituzione dell’Osservatorio sul sistema creditizio e finanziario regionale, per dotarsi  di uno strumento idoneo a monitorare le potenzialità di  sviluppo dell’economia regionale attraverso il monitoraggio dei flussi finanziari,  dei costi operativi, del radicamento delle banche nel territorio e del sostegno che esse danno allo sviluppo.

Fondazioni Bancarie

Del sistema creditizio fanno parte le Fondazioni Bancarie delle quattro Casse di risparmio di Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo.

Tutto il sistema nazionale delle Fondazioni negli ultimi due anni è stato impegnato nella difesa della propria autonomia contro le iniziative del Governo Bossi – Tremonti di assecondarle agli Enti Locali nelle loro funzioni e per l’utilizzo delle ingenti risorse che posseggono, avvantaggiando ulteriormente le grandi casseforti del nord.

Le Fondazioni restano espressione del territorio locale, partners ideali per le multi-utility e possono contribuire al loro sviluppo evitando che siano preda dei grandi concorrenti europei.

Gli Enti che ne possono beneficiare sono gli Enti locali, le Amministrazioni centrali, Associazioni di Promozione Sociale e Cooperazione sociale, organizzazioni di volontariato e associazioni private.

In contrasto con le finalità esposte, la Regione Abruzzo non ha ottenuto alcun sostegno da parte delle Fondazioni, in una fase di forte difficoltà sulle politiche sociali nell’attuare politiche verso le strutture e i servizi sul territorio. Cogliamo l’occasione per rinnovare  la richiesta, a questa  Giunta regionale, ad organizzare un confronto con le quattro Fondazioni Bancarie, considerato che i loro rappresentanti istituzionali, Presidente e Consiglieri di Amministrazione, sono prevalentemente di espressione pubblica e politica.

 Trasporti.

La finanziaria nazionale, in linea con le precedenti, ha previsto  tagli consistenti alle infrastrutture e al sistema dei trasporti.

Tagli che incideranno sulla realizzazione delle opere, sulla sopravvivenza delle aziende, sul servizio offerto ai cittadini.

Tagli che frenano lo sviluppo e la crescita, meno opere pubbliche significano anche meno occupazione.

Tutti i nostri settori, in Abruzzo, sono interessati sia dalla riduzione diretta delle risorse assegnate, sia dal taglio a regioni ed enti locali che avranno meno risorse per i servizi.

Nel trasporto pubblico locale, i finanziamenti sono bloccati dal 1997.

Nonostante la necessità di adeguamento ai costi attuali del servizio e il bisogno di aumentarne la quantità e la qualità, si risponde con una riduzione di 120 milioni di euro nei prossimi tre anni.

Nel settore ferroviario la riduzione dei trasferimenti avrà un effetto pesantissimo sui bilanci già in crisi delle ferrovie.

Le conseguenze saranno un minore ammodernamento ed una minore manutenzione sulle reti e sul materiale rotabile ed un consistente taglio ai servizi con 47 linee ferroviarie ritenute improduttive.

I tagli all’ANAS avranno gravi ripercussioni sui lavori stradali con la chiusura della metà dei lavori in corso, con difficoltà a garantire sia le opere relative al piano di sicurezza stradale che la manutenzione ordinaria.

Sono poi reali le preoccupazioni sulle ricadute occupazionali.

A questo aggiungiamo le dismissioni, la vendita ai privati di circa 8 mila chilometri di strada, di arterie importanti che saranno molto probabilmente sottoposte al pagamento di pedaggi.

È questo lo scenario a fronte del contratto con gli italiani firmato dal presidente del consiglio qualche anno fa nel salotto di Vespa, un contratto che prevedeva l’apertura di importanti cantieri e la realizzazione di grandi opere in tutto il paese.

Nella nostra regione dopo le elezioni regionali e la chiara affermazione del centro-sinistra, si è aperta la speranza che per i trasporti si aprisse una nuova fase.

È stata la grande attenzione in campagna elettorale su infrastrutture e politica dei trasporti, le priorità di intervento volte a ridurre i tempi della mobilità delle merci e delle persone e la risoluzione degli annosi problemi dei pendolari sulla tratta Avezzano-Roma indicate dal presidente Del Turco, naturalmente obiettivi condivisibili, a farci pensare all’apertura di uno spiraglio per un cambiamento da anni rivendicato.

C’è però una  difficoltà ad avviare un confronto vero su questi temi, nonostante la disponibilità più volte dichiarata del nuovo assessore ai trasporti.

Noi siamo convinti, però,  che su questi argomenti si giocherà nei prossimi anni una partita decisiva per il rilancio dell’economia e della qualità della vita delle persone. Il sistema dei trasporti e la logistica sono parametri essenziali per la realizzazione di un sistema competitivo.

Di conseguenza temi che fanno parte di quella Agenda che chiediamo alla Giunta Regionale abruzzese.

Nella nostra regione da anni viene invocato il piano regionale integrato dei trasporti, strumento necessario per la programmazione e il coordinamento di tutti gli interventi. Un piano che predisponga una mobilità delle persone e delle merci e che passi da un sistema monomodale strada-gomma ad un trasporto combinato mediante l’utilizzo di tutti i sistemi.

Superare quindi uno stato di cose che vede strade, porti, aeroporti, ferrovie, interporti, aziende di trasporto locale lavorare ognuna per proprio conto, senza una capacità di dialogo per fare sinergia.

La prima richiesta fatta, ad elezioni svolte, al Presidente Del turco è stata quella di partire  dalle analisi e dagli studi forniti dalla bozza del piano realizzato nella precedente legislatura, per abbreviare il percorso di programmazione di condizioni per programmare una nuova politica dei trasporti, trascurando il precedente elenco di cose irrealizzabili, ma individuando le opere da completare, da realizzare in tempi ragionevoli, puntando su finanziamenti certi, europei, nazionali, regionali.

Infrastrutture da correlare con le attività economiche della nostra regione, integrate  con i nuclei industriali, con quelli agro alimentari, con le attività turistiche, abbassando i costi delle imprese per attrarre nuovi investimenti ed aumentare la competitività del sistema  abruzzese.

Devono, inoltre, essere:

–  funzionali allo smaltimento del traffico nelle aree costiere e metropolitane;

– capaci di migliorare l’accessibilità delle aree interne per garantire condizioni di sviluppo e di reddito più favorevoli per i residenti.

Tenere conto della posizione geografica, ottimale della nostra regione, cerniera tra il sud e il nord del nostro paese, e sponda verso i paesi balcani.

Tale condizione va decisamente sfruttata ponendo particolare attenzione a quella parte dell’Europa in via di sviluppo che nel prossimo futuro si aprirà a importanti scambi commerciali.

I Porti possono rappresentare per la nostra regione una grande risorsa per il trasporto delle merci e delle persone.

La loro collocazione può sicuramente rispondere alle esigenze di collegamenti oltre che con le citate regione balcaniche anche con la Grecia, la Turchia e il medio oriente.

Dovranno però avere una destinazione e specializzazione precisa ed essere ben collegati al sistema stradale, a quello ferroviario, agli interporti.

In questo Congresso, vogliamo, inoltre, ribadire una vecchia opzione della Cgil abruzzese: individuare prioritariamente  il porto di Ortona come porto commerciale regionale, sia in ragione dei suoi fondali sia per la sua posizione vicino ad aree industriali importanti con forte esigenza di trasporto per l’approvvigionamento delle materie prime e la consegna dei loro prodotti finiti.

Il trasporto via mare può avere una incidenza economica e sociale molto positiva: meno traffico, meno inquinamento, meno incidenti, avere delle vere e proprie autostrade del mare.

Abbiamo già detto che al concetto di marinità, di  tutela delle bellezze naturali della costa e del suo restauro, dal degrado perpretato da folli politiche di sfruttamento immobiliare e di devastazione ambientale provocato sui fiumi, cementificati o depredati da materiali ghiaiosi, in maniera tale da ridurre il ripascimento del mare (basti pensare a quelle brutte scogliere).

Deve essere aggiunto il concetto di marittimità, e guardare la terra dal mare per coglierne le possibilità, le ricchezze e le occasioni, così come facevano gli antichi Fenici.

Il mare come fattore di trasporto e di scambio per ridurre i fattori di inquinamento ambientale.

È proprio sul trasporto merci, oggi effettuato per più del 90% su gomma, che si gioca la partita più importante.

Bisogna completare le infrastrutture esistenti, progettarne e realizzarne altre che consentano di trasferirne una parte consistente su forme alternative quali il treno, l’aereo, le navi.

La saturazione della sede stradale, l’alto costo dei consumi energetici e dei costi legati al sistema ambientale,  ma anche le nuove normative comunitarie sull’orario di lavoro dei conducenti, ci impongono veloci cambiamenti.

Altro fattore di sviluppo e l’Aeroporto d’Abruzzo che deve accrescere un ruolo sempre più importante sia per i collegamenti, sia per il numero dei passeggeri trasportati.

Ma occorre migliorare la capacità di acquisire traffico puntando anche al potenziamento del trasporto merci, oggi anello debole delle attività svolte.

Ma è la rete ferroviaria che sta pagando forse il prezzo più alto della politica economica del governo.

I pochi investimenti destinati dal governo nazionale al trasporto ferroviario hanno interessato i progetti sull’alta velocità e sull’alta frequenza, tagliando conseguentemente fuori la nostra regione.

A nostro avviso è un errore pensare che la modernizzazione del trasporto ferroviario possa avvenire soltanto lungo le linee dell’alta velocità. I numeri dicono che il trasporto regionale con più dell’80% degli utenti trasportati, costituisce il cuore delle ferrovie italiane.

Elettrificare, ammodernare, velocizzare queste tratte significa ridare vitalità ad alcune linee considerate rami secchi.

Lo stato del trasporto ferroviario in Abruzzo, con particolare riferimento alla tratta Pescara-Roma, necessita di interventi immediati.

Il  summit di Sulmona, voluto dal presidente Del Turco con i vertici nazionali delle  FS,  ha  generato aspettative, per una soluzione positiva della crisi del sistema ferroviario regionale.

Ora bisogna passare a fasi ed azioni più incisive, organizzando il tavolo di concertazione, cogliendo la disponibilità manifestata dai tecnici e vertici delle FS, per verificare le disponibilità manifestate, per esaminare le attuali criticità  e per confrontarsi sulle priorità rivendicate dai territori.

Sulle infrastrutture stradali, in un contesto in cui i propositi governativi sono volti soprattutto a tamponare le emergenze di finanza pubblica, l’Abruzzo occupa l’ultimo posto tra le regioni italiane per quanto riguarda gli investimenti indirizzati all’ammodernamento e alla realizzazione di infrastrutture stradali.

Le nostre autostrade, oggetto da alcuni anni di un processo di privatizzazione, sono passate dal monopolio pubblico a quello privato, producendo un aumento elevato delle tariffe a fronte di impegni assunti per il completamento di opere, di investimenti per gli interventi sulle aree protette, sui punti di assistenza al traffico, sul manto stradale.

I riscontri oggettivi ci fanno sostenere che tali interventi non si sono realizzati, o sono stati realizzati solo in parte. Le due aziende che gestiscono le nostre autostrade, sono accomunate oltre che dall’aumento dei pedaggi, dal peggioramento dei servizi: in definitiva è il risultato di una privatizzazione senza regole certe.

La mancanza di sicurezza, più volte denunciata, è emersa in tutta la sua drammaticità nel tragico incidente sulla A/25 di qualche giorno fa, con cinque morti e venticinque feriti.

Sarà la magistratura ad accertare eventuali responsabilità nei ritardi della chiusura dell’autostrada, dovrà essere la politica però a rimettere in discussione l’affidamento della concessione ricreando condizioni accettabili in costi e sicurezza per i cittadini e le imprese abruzzesi.

Altrettanto importanti sono le scelte da fare sulle infrastrutture per la mobilità cittadina.

Il passaggio da una economia prevalentemente agricola ad una industriale e turistica, senza essere accompagnata da una puntuale realizzazione di opere infrastrutturali, ha determinato negli anni, da una parte il progressivo abbandono delle aree interne e dall’altra la congestione delle aree urbane e costiere.

Per anni abbiamo modellato l’organizzazione urbanistica delle nostre città sull’idea della risposta privata alla esigenza di mobilità ed ora che sono evidenti la congestione, l’invivibilità e i crescenti costi diretti e indiretti derivanti da traffico e inquinamento, bisogna passare alla programmazione degli interventi e delle risorse.

Priorità va data ai parcheggi da realizzare fuori dalle nostre città, collegati con sistemi filoviari, di metropolitane di superficie che sono comode, veloci, non inquinanti.

In questo modo può essere  superata la condizione di emergenza ambientale nella quale  vivono le nostre città.

La riforma: il processo di liberalizzazione avviato con il Decreto Legislativo 422/97, con il passaggio dal monopolio al mercato si sta realizzando in assenza di regole certe e con una carenza di risorse trasferite.

In un processo di cambiamento così importante si sono sommati ritardi, inadempienze, contraddizioni.

Sono state diverse le scadenze fissate, ora con il collegato all’ultima finanziaria, la scadenza è stata prorogata al 31/12/2006.

Le regioni e gli enti locali avranno un anno di tempo per completare o effettuare l’affidamento tramite gara dei servizi, siano essi su autobus, tram metropolitane e treni locali e regionali.

Nella nostra regione siamo in ritardo, ed inutile che ce lo ricordi l’on. De Laurentis, come se lui non centrasse nulla con i ritardi accumulati.

Ma bando alle polemiche, ora una volta definiti i contratti di servizio, ricomposti da 10 a 4 i bacini di traffico, si dovrà procedere al PIANO TRIENNALE DEI SERVIZI, non solo perché costituisce il passaggio indispensabile per l’avvio delle gare, ma anche perché consente di definire le

risorse per i servizi minimi finanziati dalla regione e quelli aggiuntivi a carico delle amministrazioni locali.

In questo contesto, vogliamo osare un’idea.

Siamo d’accordo sul lavoro prospettatoci nei mesi scorsi dalla regione che propone, come punti qualificanti un nuovo servizio ferroviario regionale e servizi a lunga percorrenza, per realizzare una rete integrata ferro – gomma (con l’intento di risolvere principalmente le criticità d’ingresso nell’area urbana della città di Roma).

Ma se questo è l’intento, e se ne intuiscono le ragioni , perché non iniziare un processo, che per ipotesi di comodo, chiameremo di fusione, tra le aziende a partecipazione maggioritaria regionali di trasporto ARPA, Sangritana, GTM, per dare loro una dimensione economica, patrimoniale e finanziaria tale da fronteggiare competitori esterni all’Abruzzo ed in grado di competere sul mercato nazionale ed Europeo?

Nelle tre aziende esistono qualità professionali e tecniche, esperienze consolidate che insieme alle risorse disponibili potrebbero trasformare queste aziende da problema in occasione finanziaria ed occupazionale.

Ci vogliono decisioni politiche impegnative, si tratta di agire sugli equilibri esistenti, modificare abitudini, toccare interessi consolidati.

Ma credo che ne vale la pena, se vogliamo fare dei trasporti uno dei fattori di crescita delle capacità competitive dell’Abruzzo.

 TURISMO.

Nella polemica passata con il centro destra, abbiamo più volte affermata la nostra contrarietà ad una programmazione delle politiche turistiche, legata ai “grandi eventi”, ma dovevano, al contrario, essere perseguite l’innovazione di sistema, misure in grado di accrescere la qualità dell’offerta e la qualità professionale degli addetti e degli operatori.                Un concetto che abbiamo ribadito anche in occasione della polemica riguardante i Giuochi del Mediterraneo.                                                        A nostro avviso restano ancora quelle le  priorità da cogliere.

In sede di confronto sul Bilancio di Previsione abbiamo insistito sull’idea che le risorse regionali destinate alla innovazione ed alla ricerca dovevano riguardare anche la innovazione e la ricerca di sistemi organizzativi nel settore turistico.

Il Turismo, nella regione dei parchi,  bagnata da un mare con un, ancora,  alto livello di balneabilità e accorpata, tra mare e monti, da un sistema collinare ricco di produzioni agricole e pastorali di alto pregio, deve essere un punto prioritario di attenzione da parte delle Istituzioni.

Non ci è sfuggita la circostanza che questo anno, dopo liti, lacerazioni e separazioni, l’Abruzzo negli Stand internazionali, di offerta turistica, si presenta unita Regione e provincie.

Noi pensiamo ad un unico ente che promuove il territorio abruzzese, riteniamo sbagliata l’idea  che questo possa avvenire a livello provinciale o addirittura locale.

L’unico ente a fare promozione e informazione turistica in Abruzzo dovrà essere L’Azienda di promozione Turistica Regionale (A.P.T.R.).

Occorre comunque una riflessione sulla legge istitutiva dell’ A.P.T.R. che, oltre a rimarcare il ruolo trainante del turismo nell’economia abruzzese, e dotarlo di maggiori risorse, ridefinisca il ruolo pubblico dell’A.P.T.R. attraverso il coinvolgimento nel Consiglio di Amministrazione delle Province, dei Comuni e delle associazioni degli operatori privati nella gestione del  Marchio Abruzzo sui mercati nazionali ed internazionali e che li veda protagonisti anche all’interno degli organismi operativi regionali.

Ma il marchio Abruzzo, parchi, mare e collina, bellezze naturali, paesaggistiche, beni culturali, civili e religiosi, parametri essenziali per l’offerta turistica deve, in una regione come la nostra, ha grande rilievo la filiera agro – alimentare- industriale.

Non delocalizzabile, fonte di occupazione, di integrazione ed aiuto ad altri settori ed all’intera economia regionale.

Nella nostra regione sono presenti l’Istituto Zooprofilattico, le facoltà di veterinaria,  le facoltà di agraria e quelle dedite alle attività turistiche.

Ci sono molti luoghi del sapere, dove la Regione, può essere in grado di mettere a sistema le forme per coniugare la politica economica e di sviluppo con la politica ambientale allo scopo di perseguire gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, sostenibile nel senso che nel soddisfare i bisogni delle generazioni presenti non comprometta la possibilità alle generazioni future di soddisfare i propri.

È   la grande sensibilità ecologica raggiunta dai cittadini, europei ed extra-europei, che richiede all’Abruzzo una ipotesi di sviluppo turistico alto ed adeguato rispondenti a nuovi canoni per acquisire questa fetta di mercato turistico.

Mettere in piedi lo strumento, o il sistema,  che unisce i soggetti operanti lungo la “filiera alimentare” che consente di coordinare progetti ed atti rivolti alla tracciabilità e rintracciabilità del prodotto per il raggiungimento della qualità e sicurezza alimentare e maggiori livelli di innovazione e competitività anche sul mercato dell’offerta turistica.

Ecco che in questo modo concetti come sviluppo agroalimentare, sviluppo rurale, sicurezza alimentare, strategia della qualità, sviluppo sostenibile, devono appartenere alle nostre azioni quotidiane.

Oggi c’è bisogno di qualcosa di innovativo, di diverso, di più qualificante e incisivo che sappia valorizzare, e non a parole, i molti territori di cui l’Abruzzo dispone, territori ricchi di creatività, di cultura, di arte, che ne fanno una fonte inesauribile di materie prime.

L’unica reale prospettiva è quella di riuscire a “fare gioco di squadra” in maniera seria, leale ed efficace, puntando sulle espressioni a più alto valore aggiunto della nostra arte, della nostra cultura, dei nostri tesori religiosi delle nostre produzioni e del nostro ambiente.

Diventa pertanto sempre più necessario qualificare l’offerta del prodotto abruzzese, attraverso la costituzione di sistemi di imprese e di marchi, in grado di realizzare pacchetti integrati di offerta territoriale (una sapiente combinazione di cultura, arte, ambiente, turismo e artigianato locale, produzione agro-alimentare).

La valorizzazione del territorio, delle sue peculiarità e delle sue vocazioni, si realizza anche, o forse soprattutto nel caso dell’Italia, elaborando una seria e lungimirante politica del turismo e dell’accoglienza.

Troppo spesso, infatti, dimentichiamo che il turismo nelle sue varie proiezioni e articolazioni contribuisce in modo determinante alla produzione della ricchezza complessiva.

Eppure, nonostante la sua valenza economica, il numero degli addetti impegnati, il ruolo di traino esercitato nei confronti di altri settori economici (come l’agricoltura e la stessa industria) il turismo continua ad essere considerato la cenerentola della nostra regione.

Un Paese che, al contrario, dovrebbe considerare questo settore come centrale e strategico viste le sue potenzialità ed il suo inestimabile patrimonio di arte, di cultura e di bellezze naturali e che, invece, chiude il Ministero del Turismo (è come se un paese arabo chiudesse il proprio ministero per il petrolio!), relegando la gestione della materia ad un neonato Consiglio per il turismo che avrebbe il compito di raccordarsi con le venti regioni italiane, ognuna delle quali esprime una diversa e autonoma politica dell’offerta, della promozione e dell’accoglienza.

Il risultato finale è che una politica del turismo italiano di fatto non esiste e l’immagine del Paese all’estero è affidata alla proiezione inutilmente pretenziosa e velleitaria di ciascuna regione.

Oggi un italiano che si recasse in visita in una delle capitali straniere potrà trovarvi sedi di rappresentanza più o meno sfarzose, più o meno deserte, più o meno inutili delle diverse regioni italiane, che sembrano avere l’unica funzione di esaltare lo spreco e la dissipazione in un periodo di grandi difficoltà economiche per la maggior parte degli italiani.

 Socio-Sanitario.

 Il  taglio delle risorse al sociale, rappresenta una questione che apre un grave problema per i cittadini abruzzesi, e non solo per le persone a più basso reddito.

Ci sono servizi che qualificano il grado di civiltà di una comunità.

Alla nostra rivendicazione di indicare  maggiori risorse al sociale, a partire dalla  questione del trasferimento, di investimenti e risorse, dalla sanità al sociale, attraverso un Progetto di Integrazione Socio-Sanitaria, viene data una generica assicurazione senza che il DPEFR, e il Bilancio Preventivo, vadano oltre la citazione della questione.

Tanto meno riceve risposte la problematica attinente al Fondo per la non auto-sufficienza.

È una questione che in Abruzzo (vedi indici di invecchiamento) pretende una risposta.

Nel DPEFR sulle politiche per la sanità si sceglie una strada eccessivamente descrittiva e ragionieristica, dimenticando che le operazioni messe in campo dalla FIRA  e dall’Assessore alla Sanità intervengono sul passato, sulle situazioni di deficit create  dalla  mancanza di interventi strutturali e di razionalizzazione del sistema sanitario.

Riteniamo utile ribadire, i nostri obiettivi rivendicativi per la riqualificazione del sistema Sanitario abruzzese:

  • La normativa regionale dedicata ai VRQ (Verifica Requisiti Qualità), uno strumento del quale la regione deve immediatamente dotarsi (siamo l’unica regione a non averlo ancora fatto), per la verifica dei requisiti strutturali e di qualità dei servizi, pubblici e privati, senza attendere le fasi di elaborazione del Piano sanitario regionale;
  • Mentre è da salutare positivamente l’avvio dell’attività della nascente Agenzia sanitaria che ha, come primo compito, quello di dotare l’Abruzzo di un sistema di accreditamento definitivo, sulla base di requisiti qualitativi e programmatici, in grado di superare il sistema attuale, del tutto prigioniero della vecchia concezione del convenzionamento dei posti letto;
  • Nuovo Piano sociale da utilizzare quale strumento propedeutico al Piano Sanitario Regionale, per individuare in maniera netta il confine tra quella che è definibile spesa sociale, da quella sanitaria. Riteniamo che una importante parte delle risorse dilapidate, ad esempio ricoveri impropri, appartengono ad una mancata organizzazione di questa area di confine;
  • Una indicazione esplicita dell’obiettivo di riqualificare la spesa sanitaria, prevedendo maggiori risorse a favore della rete dei servizi territoriali e della prevenzione, con la razionalizzazione programmatica della rete ospedaliera;
  • Dare avvio alla legislazione regionale per la regolamentazione dei servizi di Day Hospital e di Day Surgery. L’obiettivo dichiarato deve essere quello di superare l’attuale concezione che confonde l’Assistenza Domiciliare, Day Hospital, Day Surgery e ricovero ospedaliero.  Nessuno deve dimenticare che  in una delibera regionale del 2004, si indicava la possibilità di trasformare gli attuali posti letto in servizi di Day Surgery (con l’intento di rendere scarsamente trasparente la riduzione dei posti letto ospedalieri, invisa alle popolazioni locali), trascurando la portata del valore della scelta dei servizi di Day Surgery in termini di risparmio, futuro, ma anche di valore organizzativo a favore della tutela della salute;
  • Ridefinire un rapporto reale di integrazione tra pubblico e privato. L’attuale sistema, di autorizzazioni e negoziazioni, consegna al privato un mercato certo e, il più delle volte, nei settori sanitari di scarsa qualità, ma con alte renumerazioni. Nel quadro dello sforzo di razionalizzazione dell’intero sistema sanitario, gli operatori privati, devono tornare ad essere tali, senza pensare di essere comodamente collocati in un “nido economico protetto”. Chi intende operare nel sistema universale pubblico deve  rischiare e mobilitare risorse nuove, per  misurarsi con livelli più alti di qualità. Si tratta proprio di effettuare una vera e propria rivoluzione culturale, nella sanità. Ci troviamo di fronte ad operatori privati che agiscono, dentro gruppi o da soli, grazie a forti liquidità provenienti dagli utili cumulati nella sanità, in tutte le grandi operazioni immobiliari che riguardano la regione Abruzzo, cliniche private che acquistano televisioni di valenza regionale, compensando, in tale modo, gli utili con le perdite delle emittenti, ma acquisendo un potere formidabile sulla informazione politica.
  • La riconferma, e soprattutto indicare la metodologia e la tempistica, della necessità di spendere il 6 % a favore della prevenzione e della sicurezza del lavoro;
  • Le procedure di concertazione territoriale, (ASL, Amministrazioni Locali ed Organizzazioni Sindacali), per meglio definire le coerenze tra gli obiettivi programmatici e i bisogni espressi dalle popolazioni;
  • dotarsi di strumenti di vigilanza e controlli ispettivi, per abbattere i fenomeni di distorsione della spesa sanitaria legata agli indici di inappropriatezza nella erogazione dei servizi. E non ci riferiamo solo alla Sanità privata.

 Vogliamo, inoltre, segnalare  la necessità, sull’aziendalizzazione degli ospedali clinicizzati di Chieti e L’Aquila, di non fare solo riferimento alle possibilità di accesso a cofinanziamenti ministeriali per i centri di ricerca clinica applicata. La priorità è quella di verificare, con Bilanci ASL certificati, il peso di  un così pesante processo di accentramento ospedaliero. Caso contrario si corre il rischio che una vasta aziendalizzazione, gestita appunto con  criteri aziendalistici e dedita al  rastrellamento massimo di risorse, accentui la spesa ospedaliera a sfavore del sistema della rete dei servizi sanitari territoriali.

L’Abruzzo è caratterizzato  da un profondo squilibrio della spesa ospedaliera, con una stima superiore al 55% e confermata da un tasso di ospedalizzazione pari al 280 per mille, vale a dire circa 100 punti al di sopra degli standard di legge.

La verità è che siamo al fai da te , all’improvvisazione, ma soprattutto siamo di fronte alla più totale mancanza di regole.

Per questi motivi abbiamo sempre ribadito, e lo facciamo anche oggi, che l’Abruzzo non ha tempo di attendere l’approvazione di un pur necessario nuovo Piano Sanitario, scaduto da cinque anni, ma deve immediatamente darsi regole e, soprattutto, farle rispettare.

L’altra grande questione da affrontare è il capitolo delle liste di attesa.

Qualificazione dei servizi e riforma della PA.

Non stiamo affrontando lo stesso argomento, ma analogo rigore bisognerà applicare ad altri temi riguardanti la qualificazione della domanda pubblica, per assicurare una rilevante e costante domanda delle Pubbliche Amministrazioni, relativa a prodotti e servizi ad alta tecnologia (energia, ambiente e rifiuti; risorse idriche; , beni culturali;  etc), prevedendo un adeguato coordinamento e la qualificazione della gestione pubblica dei servizi.

Crescono sempre di più i costi dei servizi erogati dalle aziende pubbliche, con tariffe insopportabili, per le economie delle persone e delle famiglie, ma anche per le attività produttive.

Il primo motivo di lievitazione  degli alti costi è dovuto  alle diseconomie determinate dalla dimensione strutturali delle aziende erogatrici dei servizi che non riescono a raggiungere equilibri con gli obiettivi da raggiungere, per un servizio qualificato.

Un fenomeno cresciuto sui localismi e sulle clientele municipali, dai costi ormai insopportabili per la collettività.

Di conseguenza  la forte partecipazione degli Enti Locali, e della Regione stessa, a molte fasi di gestione nella produzione dei servizi, richiedono una efficace riflessione sulla necessità di riforma  e del suo operato.

La iIneludibile riforma della P.A. abruzzese, non si può fermare al solo Ente Regionale, ma  deve essere accompagnata da un altrettanto necessario e vasto processo di riforma e di ricomposizione del sistema di gestione ed amministrazione delle Aziende, società ed Enti di emanazione pubblica, restituiti a criteri di efficienza ed economicità, liberati dall’assistenzialismo e dal ricorso alle coperture dei deficit con risorse regionali, restituiti ad una direzione e ad un governo dove controllori e controllati non si cumulano tra gli stessi soggetti.

Tradotto con parole semplici come può un amministratore (Assessore o Sindaco) controllore, e quindi rappresentante della tutela dei propri amministrati, trasformarsi in controllore di se stesso.

È un tema irrinviabile, da affrontare immediatamente, a cominciare dalla questione acqua, del suo uso e della sua gestione.

L’Acqua è un bene essenziale, inalienabile da un forte controllo pubblico.

Lo stato del sistema idrico nella nostra regione richiede la rimozione degli ostacoli che si frappongono a una corretta applicazione della legge di riforma del settore.

Le attività  regionali sono in ritardo, ma sono frutto anche delle resistenze attive, di aziende ed enti locali, che privilegiano la salvaguardia di interessi particolari a scapito della riforma e che non hanno consentito il dispiegarsi pieno delle attività degli Ato nei tempi previsti.

Se le vecchie competenze non lasceranno il campo ai nuovi organi non si uscirà da questa situazione di paralisi.   Ed è necessario che ciò avvenga rapidamente, poiché sul versante qualità, costi ed efficienza del servizio la situazione è pesante, molta parte del territorio regionale non possiede acqua a sufficienza, mentre le reti idriche sono dei veri e propri colabrodi in grado di disperderne quantità enormi.  La  Cgil Abruzzo ritiene, inoltre, che l’entrata a regime della legge 36/94 consentirebbe un incremento occupazionale diretto e indiretto fino a migliaia di addetti.     

Ma la politica industriale, nel sistema idrico, avrà un senso solo se verranno fatti decisivi passi in avanti nell’applicazione  delle leggi. Bisogna dire basta alla fase transitoria, bisogna approdare a un assetto.

Noi proponiamo un solo ambito territoriale ottimale in Abruzzo (siamo ca. 1milione300mila abitanti, con sei ambiti, Roma ne ha uno solo e ne deve servire ca cinquemilioni), proponiamo un gestore ed  una tariffa.

Consideriano scorretta l’idea di nuove società multiservice, entro le quali fare confluire le attività idriche, confondendole con altre attività di servizio, mentre  non è legittimo pensare a gare di affidamento della gestione dei depuratori. Il CICLO COMBINATO DELLE ACQUE non deve essere segmentato, l’uso plurimo delle acque a fini industriali, civili e agricoli, deve essere contenuto in un unico disegno di governo.      

I Gestori devono essere aziende efficienti, con dimensioni adeguate, dal punto di vista della gestione industriale delle acque, con professionalità e strumenti tecnici di alto profilo tecnico. Solo attraverso una nuova efficienza nell’uso della risorsa acqua e una diminuizione dei costi di produzione sarà possibile abbattere gli alti costi delle tariffe che ormai incidono con pesantezza nella tasca degli utenti.

Formazione permanente

Nei sistemi innovativi e di globalizzazione la Formazione permanente o come viene chiamata a Bruxelles “lungo tutto l’arco della vita” assume particolare rilevanza.

Più conoscenze sono necessarie per stare in un mercato del lavoro sempre più incerto ed imprevedibile.

E’ di estrema necessità organizzare un sistema formativo capace di cogliere con tempestività i fabbisogni della domanda di lavoro e del tipo di sviluppo socio-economico del territorio per poter personalizzare o collettivizzare la formazione.

L’obiettivo è occupazione e capacità competitiva.

Oggi il lavoro cambia continuamente, cambiano le tecnologie, è necessario formarsi individualmente per affrontare anche le nuove flessibilità lavoristiche.

L’Abruzzo come l’Italia presentano un deficit in qualità e quantità formative. Più capitale umano, dalla istruzione alla formazione permanente, è fattore importante per vincere il sistema globale.

L’equipaggiamento intellettuale è un fattore rilevante sull’andamento dell’economia. Si è stimato che la istruzione e formazione professionale rappresentano più della metà della crescita del reddito di un paese, l’altro 50% è dato dal capitale fisico, dalle  attrezzature, dai macchinari.

Il capitale umano è misurato come la somma dei valori attuali dei redditi degli odierni lavoratori per la loro vita lavorativa residua.

Per fare un esempio a maggio 2004 la nuova  Europa, con i suoi 25 paesi, avrà un capitale pro-capite pari a 249 mila euro, la metà di quello degli Usa di 510 mila.

Il tasso di occupazione sulla popolazione è del 41% dell’Europa, 48% degli USA, l’élite trainante su popolazione è 14% Europa, 31% USA.

I soggetti socialmente svantaggiati sono 18% Europa, 5% USA.

Per recuperare questo deficit i vari Consigli di Lisbona, Stoccolma e Barcellona hanno fissato per l’Europa un obiettivo che prevede un tasso di occupazione pari al 70% nel 2010, sollecitando i governi locali e regionali ad aumentare gli investimenti per la crescita di risorse umane.

Si è entrati nella consapevolezza che parlare di formazione significa sapere, saper fare, saper essere.

I tempi dell’apprendere non possono essere separati dall’attività lavorativa. Istruzione e formazione devono interessare l’individuo tutta la vita.

La formazione continua è utile non solo all’impresa ma soprattutto al lavoratore in attività o che cerca lavoro, perché attraverso la formazione trova opportunità per il suo reinserimento.

Molte aziende abruzzesi non considerano la formazione come azione strategica di sviluppo della tecnologia, dell’organizzazione, della salute e sicurezza e preferiscono risparmiare pensando di possedere le competenze necessarie. Infatti, tra le piccole e medie imprese abbiamo un interesse alla formazione continua solo del 16% mentre nelle grandi aziende oltre 250 dipendenti la formazione raggiunge l’81%.

In Abruzzo i livelli di produttività delle PMI sono più bassi della media nazionale. Solo  il 54% delle imprese risulta informatizzato e solo l’11,4% ha un sito web. Siamo il secondo paese e regione  al mondo per possesso di telefonini ma i ¾ della popolazione resta analfabeta dal punto di vista informatico.

Da una indagine della Confindustria sui bisogni professionali,  su un campione di 103 aziende (gomma, plastica, legno, mobili, informazione, telecomunicazioni e turismo), solo 9 si sono rese disponibili a fare rilevare i loro bisogni formativi. Dove è stato possibile rilevarli si è evidenziato che non c’è corrispondenza tra esigenze ambientali e formazione disponibile, inoltre è emersa poca disponibilità dei giovani per i lavori del manifatturiero (tornitore, fresatore, saldatore), bacino di interesse extracomunitario.

La Regione deve strutturare un nuovo sistema di analisi dei fabbisogni formativi adatti a tutti i territori coinvolgendo il mondo imprenditoriale, sindacale e i soggetti locali preposti allo sviluppo.

Fare sistema significa mettere in sinergia tutti gli strumenti di possibile intervento finanziario – creditizio, ricerca, università, scuola e formazione professionale.

Aumentano le famiglie povere e a rischio povertà.

L’allarme, rinnovato, è lanciato dall’Eurispes, che nel suo Rapporto annuale stima che siano ben due milioni e mezzo i nuclei familiari sull’orlo della crisi, cioè quasi 8 milioni di italiani. Le famiglie povere sono 300.000 in più rispetto all’anno scorso.

La CGIL Abruzzo, quattro anni fa, segnalò  il livello di allarme raggiunto dai processi di impoverimento e di esclusione sociale che stanno colpendo da alcuni anni la popolazione regionale, e, dunque, l’acutezza dei disagi materiali, morali e mentali che da tale situazione ricadono su gran parte della comunità e in particolare su una fascia molto estesa di mondo del lavoro e di pensionati oltre che sulle fasce sociali deboli ed emarginate.

Descrivono, in modo crudo, questo scenario di tendenziale degrado sociale e di declino economico e civile dell’Abruzzo, i dati di analisi dei consumi delle famiglie e della popolazione abruzzese forniti dall’ISTAT e da altri prestigiosi istituti nazionali di ricerche demografiche, economiche e sociali.

Questi dati ci confermano di una Regione che arretra in termini di ricchezza prodotta, di aumento della disoccupazione, di precarizzazione selvaggia del lavoro, di sensibile e progressiva riduzione dei diritti e delle tutele sociali, di aumento delle disuguaglianze tra i cittadini della comunità regionale, configurando un quadro generale di esaurimento del modello economico e sociale che ha guidato l’Abruzzo sino ai giorni nostri, e dunque la necessità e l’urgenza di una radicale sua riprogettazione e correzione profonda.

E’ evidente infatti che nessun nuovo modello sociale può affermarsi, nessuno “stato sociale del benessere” può essere credibilmente immaginato, senza il supporto e il fondamento di politiche economiche e di  sviluppo idonee a sostenerlo.

Ma deve essere ben chiaro ai nostri interlocutori istituzionali, a partire dalla Regione, che l’Abruzzo non può consentirsi di attendere i tempi necessariamente lunghi del nuovo sviluppo, rinviando al suo compimento le risposte sociali al pesante fardello di bisogni e urgenze che si vanno accumulando.

E’ prioritario dunque intervenire ora e subito sulle distorsioni e sul tendenziale degrado del modello sociale abruzzese – di cui la povertà crescente è riflesso e immagine di un grave impoverimento del capitale “risorse umane” della nostra regione -, attivando senza esitazioni la leva di  incisive e innovative politiche sociali.

La strada indicata dal Programma di Governo della Regione ha offerto  un nuovo e condivisibile orizzonte programmatico necessario per il rilancio dell’Abruzzo, una svolta politica e culturale da noi sollecitata con vari scioperi generali regionali, che attende ora di essere verificata nella sua concreta attuazione.

E tuttavia la storia ci insegna che c’è sempre un prima e un dopo nel “fare” della politica, nel governo concreto dei processi di cambiamento.

Oggi in Abruzzo, nella situazione attuale una politica dei due tempi, prima il rilancio dell’economia e dell’accumulazione, poi la promozione dei diritti di cittadinanza e delle tutele sociali, contraddirebbe in radice l’idea di sviluppo socialmente orientato e sostenibile  che è al centro del Programma della nuova Giunta regionale.

Noi siamo contrari ai due tempi e lo diciamo subito.

Per noi sono i diritti e le tutele la leva politica decisiva del nuovo sviluppo dell’Abruzzo. Senza agire questa leva non appare credibile il cambiamento degli attuali meccanismi di accumulazione-distribuzione della ricchezza che si ispirano alla massima compressione del costo del lavoro e dei diritti contrattuali e di legge, e i cui esiti di fallimento sono ormai evidenti a tutti.

Occorre dunque ripartire, ora e qui, dalle tutele sociali, dai diritti di cittadinanza e del lavoro, dalla lotta alla povertà e all’impoverimento come condizione necessaria per costruire una nuova e più avanzata prospettiva di sviluppo economico, sociale e civile dell’Abruzzo.

* In Abruzzo sono considerate nella soglia di povertà 44.760 famiglie (definite in termini sociologici famiglie “appena povere”) pari al 9,5% delle famiglie totali abruzzesi e corrispondenti a 111.119 persone.

Al di sotto del 20% della soglia di povertà si collocano altre 40.040 famiglie, (definite in termini sociologici sicuramente povere”), pari all’8,5% delle famiglie totali e corrispondenti a 99.420 persone.

Al di sopra di appena il 20% della soglia di povertà si collocano poi altre 44.762 famiglie, pari al 9,5% delle famiglie totali, (definite in termini sociologici “quasi povere”), corrispondenti a 113.447 persone.

Sommando le prime due classi di povertà, cioè le persone-famiglie “povere” e “molto povere”, si calcola che la povertà in Abruzzo coinvolge il 18% del totale delle famiglie (con un intervallo di probabilità tra il 13 e il 21%), pari a 210.530 persone, mentre sono molto vicine a ricadere nella classe dei poveri altre 44.762 famiglie corrispondenti a 113.447 persone.

Dalla trama complessiva delle cifre statistiche e demografiche che ci fornisce l’ISTAT , rielaborate dai ricercatori dell’Ires Abruzzo, pubblicate ed illustrate in un recente Convegno della Cgil regionale sul tema “ ”, ricaviamo alcune considerazioni interpretative del fenomeno povertà in Abruzzo:

  • le disuguaglianze di reddito presenti nella società abruzzese sono oltre che disuguaglianze di condizioni materiali di vita, disuguaglianze di diritti fondamentali universali (alimentazione, salute, sicurezza, istruzione, casa, mobilità). Esse esprimono una frattura grave della cittadinanza e segnalano distorsioni e limiti strutturali dell’insieme del modello sociale abruzzese che la politica e le istituzioni devono affrontare con la dovuta determinazione, senza indugiare nel galleggiamento dell’ordinaria amministrazione.
  • i fenomeni di povertà sono trasversali alle varie figure di cui si compone la società abruzzese, uomini e donne, giovani e anziani, ceti operai e ceti impiegatizi, ceti bassi e ceti medi.

In questo quadro di trasversalità della povertà è compresa gran parte del mondo del lavoro dipendente e dei pensionati. In particolare “al di sotto della soglia di povertà” e “dentro la soglia di povertà” si collocano decine di migliaia di disoccupati – inoccupati – occupati con basse qualifiche e con discontinuità di lavoro, immigrati extracomunitari, pensionati poveri; “appena al di sopra della soglia di povertà” si collocano decine di migliaia di lavoratori mediamente qualificati e/o con discontinuità di occupazione; infine dentro il grande imbuto delle “nuove povertà” precipitano decine di migliaia di lavoratori dell’industria, del terziario, del pubblico impiego con qualifiche medio-alte, appartenenti per lo più a famiglie mono-reddito, “mediamente” o “molto numerose”.

  • Avere una occupazione non è più, come per il recente passato, condizione sufficiente per emanciparsi dal rischio di povertà assoluta o relativa, da parte dei cittadini abruzzesi. Ciò è particolarmente vero sia per le famiglie mono-parentali con reddito basso-medio, che per le famiglie numerose mono-reddito.
  • Una larga area della comunità abruzzese versa in condizioni di grave indigenza. Per costoro è per così dire “povera” perfino la speranza di risalita dal baratro in cui sono precipitati. E ciò che è ancora più grave, la loro condizione poco umana, depressiva e frustrante, se non in alcuni casi disumana, si proietta in un vuoto assoluto di speranza nel futuro. Si tratta di fenomeni gravissimi, di una “esclusione sociale” che si trasmette come un tumore maligno di generazione in generazione. Sociologicamente tale fenomeno è definito “intrappolamento sociale” ed è denotativo di un odioso e incivile classismo che continua a caratterizzare lo sviluppo capitalistico italiano e regionale e che smentisce, con la sua evidenza di realtà, i numerosi ed instancabili predicatori della “fine delle ideologie” e i propagandisti del carattere “socialmente neutrale” del capitalismo, ovvero del mercato come mitico salvifico e risposta a tutti i problemi.

Di fronte alla drammatica emergenza sociale che i fenomeni di povertà richiamati configurano, manca una risposta che sia minimamente significativa ed adeguata in termini sia di interventi economici che di servizi di contrasto e inclusione da parte dello Stato, ma anche della Regione e delle Amministrazioni locali abruzzesi.

La “questione povertà” è del tutto omessa dal Governo nazionale che, dopo aver cancellato la sperimentazione del “Reddito di ultimo istanza” fatta in un numero limitato di città italiane (per l’Abruzzo Comune de L’Aquila), nella Finanziaria 2004 si è limitato a stanziare per tutto il territorio nazionale, 1.700.000 euro (3,4 mld vecchie lire), contro una stima di fabbisogno annuo cento volte più alto (1,67 miliardi di euro, cioè circa 2.300 miliardi di vecchie lire).

Non è accettabile che il riconoscimento e l’attuazione dei diritti dei cittadini siano l’ultimo dei problemi dei nostri governanti, che ai diritti sociali vadano per così dire gli “avanzi” della spesa pubblica, quello che resta – se resta – nei bilanci, una volta soddisfatti tutti gli altri capitoli di spesa, compresa la copertura di sprechi e inefficienze che abbandono sempre.

Con riferimento invece agli impegni di contrasto alla povertà realizzati nel 2004 dal Piano Sociale regionale e dai Piani di zona, la spesa complessiva è stata di 1,300 milioni di euro (2.600.000.000 vecchie lire) pari allo 0,5% del totale della spesa sociale regionale (40.710.380 euro) è pari allo 0,3% della spesa sociale totale risultante dall’insieme delle risorse impegnate, statali, regionali, degli enti locali, di altri enti e associazioni pubbliche e private.

La richiesta che avanziamo come CGIL regionale in materia di lotta alla povertà in Abruzzo è ferma e chiara e si rivolge al Governo nazionale, ma allo stesso tempo al Governo della Regione Abruzzo e agli Amministratori degli Enti locali.

Chiediamo dunque al Governo regionale e al Sistema dell’autonomie locali di promuovere una strategia fortemente innovativa di interventi legislativi amministrativi e di programmazione in materia di politiche sociali, mirata a contrastare la povertà e l’esclusione sociale in Abruzzo, nonché impegnata a modulare la fiscalità regionale e locale e la tariffazione dei servizi pubblici in ragione della curva dei redditi familiari e personali degli abruzzesi.

Pertanto, mentre confermiamo la convinzione che per qualificare lo Stato sociale sono necessarie nuove e urgenti decisioni e atti del Governo nazionale in materia di povertà in obbedienza alla Costituzione e in attuazione dei principi e degli obbiettivi sanciti dalla legge 328\2000, rivendichiamo come CGIL Regionale alla Regione Abruzzo e alle Amministrazioni locali competenti una più forte assunzione di responsabilità politica nella costruzione, gestione e finanziamento del Welfare regionale e locale rivendicando in particolare che la povertà in Abruzzo sia assunta a emergenza sociale e priorità programmatica delle Politiche sociali regionali unitamente all’area della non autosufficienza, all’area anziani, minori, giovani, disabili.

Più precisamente chiediamo che vangano compiute le seguenti scelte:

  • Sperimentazione sul territorio regionale di un Reddito di Cittadinanza pari a 300 euro mensili con durata di un anno, come diritto sociale fondamentale e misura di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale e lavorativa. Tale misura economica chiediamo sia accompagnata da una presa in carico nei Piani di zona delle persone povere e dei loro nuclei familiari, predisponendo a loro favore un insieme di servizi sociali utili a contrastare le condizioni di esclusione e a promuovere opportunità e diritti di cittadinanza.

Chiediamo che a questo scopo la Regione Abruzzo adotti uno specifico provvedimento di legge, che mutui nella sua ispirazione e impostazione, la Legge regionale varata nel 2004 dalla Regione Campania istitutiva del Reddito di Cittadinanza.

per sottrarle dalla condizione di esclusione sociale in cui vivono affiancando all’intervento economico un insieme organico di servizi sociali tra di loro integrati e coordinati con i servizi all’istruzione, alla cultura, alla formazione professionale, all’inserimento lavorativo. Un insieme di servizi di cui beneficeranno, come per la Legge Campania, non solo gli aventi diritto, ma anche gli appartenenti al nucleo familiare interessato.

La povertà infatti non si sconfigge certo, né con le pubbliche elemosine degli attuali sussidi erogati una tantum dalle Amministrazioni comunali, né con il pietismo caritatevole, che per quanto apprezzabile nella sua intenzione morale, aiuta solo a passare il giorno.

Si può sconfiggere solo con un sostegno economico certo e minimamente duraturo integrato da servizi alla persona e alla famiglia indirizzati a promuovere opportunità di accesso all’istruzione, alla cultura, alla formazione professionale, al lavoro.

Relativamente agli aspetti finanziari chiediamo la costituzione di un Fondo regionale per il Reddito di Cittadinanza e i servizi di inclusione sociale e lavorativa, coofinaziabile dalle Amministrazioni locali, dalle II.PP.AB., dalle Fondazioni Bancarie, da altri Enti pubblici. La capienza di tale fondo deve essere sufficiente ad una sperimentazione su alcune migliaia di persone assolutamente povere (2000) e sui loro nuclei familiari di appartenenza.

  • A questo fine chiediamo il raddoppio della spesa sociale annuale pro-capite sostenuta dalla Regione Abruzzo;
  • Impegno degli Assessorati della Regione al Lavoro, alla Sanità, all’Istruzione, alla Cultura, alla Casa, ai Trasporti a vincolare una quota dei propri stanziamenti di bilancio a progetti di inserimento lavorativo, di accesso alla formazione professionale, all’istruzione, alla cultura, nonché ad interventi di agevolazione per la casa e per i trasporti.
  • Modulazione delle leve fiscali regionali e locali e delle tariffe dei servizi pubblici locali rispetto alla curva dei redditi da lavoro e da pensione, da definire attraverso negoziazioni sindacali.
  • Generalizzazione dello strumento ISEE, così come definito dall’INPS, per tutte le richieste di accesso agli interventi e ai servizi sociali definiti dai Piani di zona e per l’accesso alle agevolazioni fiscali, tributarie e tariffarie, regionali e locali, alle agevolazioni per la casa, trasportistiche, per il diritto allo studio.
  • Applicazione in Abruzzo del DLgs 229 e riorganizzazione dei Distretti Sanitari di base realizzando la coincidenza territoriale tra Ambiti Sociali e Ambiti Distrettuali, condizione minima indispensabile per una programmazione e gestione integrata, efficiente e efficace dei servizi sanitari e socio assistenziali che finora è del tutto mancata.

Ciò nella consapevolezza che spesso problemi sanitari hanno origine da negative condizioni sociali, come pure che molti problemi sociali originano da problemi di salute fisica e mentale. Quando poi, molto spesso, il cittadino soffre contemporaneamente di problemi di salute e di problemi di assistenza sociale.

Infine, e conclusivamente, alla luce della critica esperienza fatta con i Piani Sociali di zona 1999-2004, chiediamo una forte qualificazione della gestione dei servizi sociali, con particolare riferimento ai servizi affidati a soggetti privati, per lo più cooperative e cooperative sociali che ormai gestiscono in Abruzzo il 36% del totale degli interventi.

Gli Enti d’Ambito, le Amministrazioni comunali, gli altri Enti appaltanti o committenti di servizi sociali e socio-sanitari, devono convincersi che nessun buon servizio può essere reso alla comunità se negli affidamenti ai privati si continua a perseguire l’obbiettivo della massima economicità a discapito della qualità delle prestazioni. Come pure devono convincersi che la pratica del “massimo ribasso” molto frequente nella aggiudicazione delle gare di appalto, o mette in sofferenza l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni, o comporta fatalmente l’evasione degli obblighi contrattuali e contributivi a danno dei lavoratori, e spesso perfino la messa a rischio della loro salute e sicurezza.

Siamo dunque impegnati ad aprire con urgenza tavoli di confronto/negoziazione con le Istituzioni e gli Enti preposti, e con le Associazioni datoriali delle Imprese, delle Cooperative e delle Cooperative Sociali, per affrontare i seguenti nodi:

  • la qualificazione dei requisiti autorizzativi e di accreditamento, e il rafforzamento delle attività di vigilanza e controllo;
  • la garanzia, nell’affidamento dei servizi, del pieno rispetto dei Contratti collettivi di lavoro stipulati da CGIL CISL UIL, sbarrando la strada ai contratti collettivi “pirata” che si stanno introducendo nella cooperazione sociale abruzzese, con la conseguenza di abbassare i livelli minimi di tutela retributiva, contributiva, normativa e operando dunque un brutale sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici.

Senza qualificazione e valorizzazione del lavoro non è possibile organizzare ed erogare servizi sociali decenti, consistendo i servizi fondamentalmente in prestazioni lavorative.

E d’altra parte è paradossale che proprio i servizi indirizzati alla tutela e alla promozione sociale producano essi stessi povertà e sfruttamento dei lavoratori addetti.

La misura in Abruzzo a questo riguardo è colma e non più socialmente e sindacalmente sostenibile.

Se ne convincano definitivamente i nostri pubblici Amministratori, e con loro le Imprese e la Cooperazione di qualsiasi colore, bianca o rossa che voglia continuare a autodefinirsi.

Infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro.                                         

Quando  sicurezza, ambiente di lavoro, infortuni, lavori usuranti, non divengono una priorità assoluta, nell’agire politico e nelle attenzioni, allora vuol dire che si è perso un valore essenziale: il senso sociale del lavoro.  Se ci si indigna per i morti sul lavoro e poi non si fa nulla, vuol dire che si è smarrito il sentimento di appartenenza ad una comunità che vuol definirsi civile. Siamo sinceramente perplessi di fronte alle mancare risposte, da parte della Giunta regionale, alle nostre richieste verbali e scritte per avere un incontro su questo tema.   Che cos’è un incontro, meno che niente, ebbene neppure quello.            

In altre occasioni abbiamo ricordato a chi sfilava con noi, nei nostri cortei contro gli infortuni, l’impegno che avevano assunto prima di assumere incarichi politici.                                                                           

A loro voglio raccontare quale fu la preoccupazione espressa da  Fernando Santi, leader della componente socialista e numero due, per quasi due decenni, della Cgil a fianco di Giuseppe Di Vittorio ed Agostino Novella, nel suo ultimo intervento al Congresso di Bologna del 1965, annunciando l’intenzione di continuare a impegnarsi a fondo nella lotta politica :

“Non ho nessuna intenzione di andare in pensione. In campo diverso da quello sindacale, in modi e forme diverse, sia pure con diminuite energie, io resto un militante battagliero del movimento operaio e socialista. […]. Ho ricevuto in questi giorni, che non sono di letizia per me, immeritate e numerose attestazioni di stima e di simpatia. [:.]. Ma vi confesso che sono un uomo di molte ambizioni e che la soddisfazione più grande sarebbe quella di avere la certezza che un bracciante, un operaio, un lavoratore solo, nel corso di questi di­ciotto anni abbia detto, pure una sola volta di me: è uno dei nostri, di lui ci possiamo fidare. Per potergli oggi rispondere: puoi fidarti ancora, compagno”.                                                                    

Con pazienza vogliamo ripetere che abbiamo solo piccole idee e neanche costosissime, per affrontare con intelligenza questa grave piaga sociale.  Il bisogno spinge il lavoratore lungo una strada senza scelte, molte volte si tratta di prendere o lasciare.  E chi ha bisogno, chi ha avuto il nulla o il poco in sorte dalla vita, accetta quel che c’è pur di portare avanti la sua famiglia.

È lunga la serie delle motivazioni, ma noi riaffermiamo solo, che sentiamo con forza questo grande compito di difesa della vita e di tutela della integrità fisica di chi lavora.

Chi ha compiti di governo, lo schieramento che ha vinto le elezioni ha promesso nuovi orizzonti sociali, ora deve formulare un programma ed un’azione che sia contro il passato e per l’avvenire, contro le ingiustizie e per la giustizia, contro le sofferenze e per la elevazione della  qualità della vita, per la felicità degli uomini.

Permettetemi ora di parlare anche di noi, della nostra CGIL.

Di una CGIL che festeggia i suoi cento anni non avendo mai avuto bisogno di cambiare nome, missione o bandiera.

E’ la sola organizzazione in Italia che può celebrare i suoi cento anni di vita.

Lo dobbiamo alle compagne ed ai compagni di ieri e di oggi, alle loro intelligenze ed alla loro militanza.

All’inizio del Congresso, avete potuto ascoltare lo storico Romolo Liberati, che aveva già scritte pagine belle su episodi e fatti storici che riguardano la nostra regione, con parole ed immagini riguardanti la Cgil abruzzese,  realizzato dal giornalista Luca Torchietti:

Parole ed immagini che ci raccontano il lungo percorso del sindacalismo abruzzese, delle passioni e dei sacrifici di tanti uomini e donne.

Siamo qui grazie a loro, siamo una forza vera, pulita, amata da tanti, rispettata da tutti.

La CGIL è restata al suo posto, con la sua bandiera ed il suo quadratino rosso.

All’ingresso, spero, è stata distribuita una cartella dedicata al compagno Tom Di Paolantonio, una figura che appartiene alla storia della CDLP di Teramo, ma che noi assegniamo alle vicende storiche e sindacali dell’intero Abruzzo.

Abbiamo condiviso il Convegno organizzato a Teramo, arricchito dalla presenza di Bruno Trentin, ma ci prepariamo a proseguire un lavoro, iniziato là, in quella giornata, pensando a tanti compagni e compagne,  che non ci sono più, ma che sono qui con noi come sono qui con noi i tanti oscuri militanti che con la loro fatica, ed a volte con il loro sacrificio, hanno costruito la storia della CGIL.

È scomparso recentemente il compagno Tonino Rapposelli, ex segretario regionale della Cgil Abruzzo, campione di umanità e serenità, a lui va il nostro commosso ricordo e l’impegno a trovare un momento per ricordarne l’opera tra i giovani, tra i/le  nostri/e delegati/e.

Una storia di cento anni, ricca di passioni, sconfitte e conquiste, ma con un’idea fissa dell’unità e del pluralismo sindacale, che affonda e si radica nel dopoguerra italiano, quella nata dalla resistenza e dall’antifascismo.

Ed è con questo insieme di sentimenti e di contenuti che avanziamo alla CISL ed alla UIL, consci delle legittime diversità, la proposta di aprire, con maggiore convinzione, come confederazioni, una nuova stagione di rapporti e di iniziative unitarie su quei temi che ci vedono uniti, ricercando quel che ci unisce e non esaltando quel che ci divide, nella ricerca praticata dello stare insieme percorrendo la via, faticosa ma necessaria, della ricerca, della mediazione delle posizioni.

L’Abruzzo ne ha bisogno,  ne ha bisogno il mondo del lavoro.

La situazione davanti a noi richiede una maggiore ricerca di relazioni, confronti ed intese sui problemi dei lavoratori e dei pensionati.

Dobbiamo evitare la episodicità del lavoro comune, di evitare il solo rincorrere delle emergenza, per passare ad una più utile quotidianità.

L’esperienza abruzzese ci insegna che esiste una qualità dei gruppi dirigenti del Sindacato Unitario: saper vivere, con serenità e tolleranza, le differenze più forti, ne sono l’esempio le vicende del Patto per l’Italia, quello per l’Abruzzo e lo sciopero effettuato dalla sola Cgil Abruzzo.

Siamo stati in grado di ricercare le ragioni dell’unità d’azione, un merito che è da ascrivere ai lavoratori, ai pensionati, ai gruppi dirigenti delle categorie, compresa la Fiom, seppure di fronte alle tensioni determinate dalle firme separate sul Contratto di categoria.

È questo non è cosa da poco visto che siamo riusciti ad intervenire unitariamente su situazioni aziendali e di  settore, in grave difficoltà, e mobilitarci sui temi dello sviluppo a livello nazionale e regionale, con iniziative, scioperi e Manifestazioni

Cari compagni e care compagne, gentili ospiti la mia relazione si conclude qui.

Vi ringrazio per l’attenzione mostrata.  Non era un fatto scontentato e ne sono lieto.

Alle compagne ed ai compagni delegati va un mio ringraziamento particolare. Mi avete seguito con pazienza, grazie.

Ho provato e provo nel salutarvi una profonda emozione, spero di essere stato all’altezza del grande spirito unitario che ha pervaso il nostro Congresso.

Sintesi politica unitaria e lavoro unitario, sono la bussola che hanno mosso le parole e i miei pensieri che ho cercato di esprimere, nell’unico modo in cui so farlo. Da compagno. –

A tutti voi, compagne e compagni,  militanti, compagne e compagni di idee, di speranze, di lotte, di delusioni patite, di sconfitte, di arretramenti, di conquiste, parte di una esperienza, comunemente vissuta, va il mio abbraccio, il mio ringraziamento, per tutto quello che in questi lunghi anni mi avete dato.           Questa è la nostra forza: la memoria storica, i ricordi, il saperli comunicare e trasmettere, anche quando sembrano essere tanto lontani.

Viviamo il tempo delle incertezze e delle scelte insieme, della storia coniugata al nuovo, del logoramento degli strumenti di intervento e di riequilibrio economico, dei meccanismi dell’organizzazione del consenso che si inceppano, della caduta di scale di valori, di certezze che sembravano consolidate: eppure questo è il nostro tempo, non possiamo fare né fughe nel passato né perderci in un lontano futuro, questo è il tempo in cui siamo chiamati a lottare, questo è il tempo del nostro impegno di militanti.

 

 

 

Di Franco Leone

ex Segretario Generale della Cgil Abruzzo - ex Seg. Generale Cgil Pescara e dello Spi Regionale.