È la prima volta che ci troviamo a dover affrontare una Finanziaria regionale.
Negli anni precedenti il nostro confronto, in sede di formulazione del Bilancio regionale preventivo, era limitato alla discussione su qualche margine finanziario, o di uso di risorse molto limitato.
Infatti la destinazione di uso delle risorse avevano una missione precisa, decisa dai poteri centrali.
La nuova normativa sul federalismo fiscale ha modificato quella impostazione, ed è per questi motivi che abbiamo enunciata, già dall’altro anno, una linea di contrattazione.
In sede di Bilancio di previsione 2000 avanzammo l’idea di destinare le allora scarse capacità di governo regionale delle risorse verso politiche di sostegno ai settori e territori più deboli ed ai ceti svantaggiati.
In buona sostanza le risorse regionali utilizzate a sostegno del riequilibrio territoriale, qualora risorse nazionali o comunitarie fossero venute meno per insufficienza o mancanza di fondi.
Per questi motivi, oggi in un contesto diverso contrassegnato dalla Finanziaria regionale, Cgil, Cisl ed Uil hanno richiesto alla Giunta Regionale, e quindi alle forze sociali, di concertare una Idea di sviluppo prima della elaborazione dello strumento finanziario.
L’iniziativa politica tendeva e tende a favorire l’adozione di un adeguato strumento di programmazione economica e finanziaria.
In buona sostanza una sorta di DPEF (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria) regionale in grado di rendere trasparente il percorso di utilizzazione delle risorse con il Programma di sviluppo economico e sociale.
Un DPEF con all’interno le indicazioni del sostegno alle politiche di sviluppo sostenibile, creatrici di nuova e solida occupazione, con particolare riguardo a quella femminile, la quantificazione delle risorse per la promozione di politiche di welfare (cioè le risorse da prevedere per il Piano Sociale e il rapporto tra IRAP e finanziamento del Sistema Sanitario abruzzese), orientate a soddisfare una nuova domanda di cittadinanza sociale e politiche tariffarie atte ad agevolare le fasce di popolazione con redditi bassi e svantaggiate territorialmente (diversificazione del sistema tariffario come quello del Metano per le popolazioni delle zone montane).
Il DPEF è l’operazione politica di richiesta di trasparenza tra spesa e tasse e, quindi, il valore della tassazione come fondativo del patto tra cittadini e rappresentanti istituzionali, che fa propri, rendendoli esigibili, gli obiettivi di politica economica di promozione di sviluppo e solidarietà sociale.
La nostra stessa azione rivendicativa e contrattuale, perciò, deve potersi esprimere in una logica di ‘sistema’, con una sua articolazione ai diversi livelli istituzionali, ma dentro il quadro di una programmazione dello sviluppo e del modello sociale regionale. E’ dentro questa logica di sistema, che va resa esplicita la questione oggi sottesa alla costruzione di un modello federalista, ossia la tendenza alla costruzione di un modello a diverse velocità. La ricerca di politiche di convergenza e solidarietà nazionali, e perciò la definizione di progetti speciali di autonomia perché la divaricazione tra aree forti e deboli del paese non risulti irreversibile, è un obiettivo indispensabile su cui abbiamo orientata la nostra azione di Sindacato confederale.
In questa fase, dove la Giunta Regionale non va oltre banali esposizioni di numeri senza grande senso politico e programmatico, stanno emergendo alcuni primi elementi sui quali concentrare la nostra attenzione.
Per quanto riguarda la discussione della manovra di bilancio per il 2001 a livello regionale, non si paventano idee di adozione di misure di ulteriore riduzione della pressione fiscale, rispetto a quanto già non faccia la manovra di bilancio nazionale.
Una questione sulla quale abbiamo già polemizzato nel 1999, o meglio siccome l’unica imposta sulla quale la Regione può intervenire è l’IRAP (le altre entrate infatti sono di compartecipazione al gettito di imposte nazionali e perciò rigide, se si esclude la possibilità di utilizzare la quota addizionale dell’IRPEF), la manovra di riduzione della pressione fiscale finisce col coincidere con la riduzione dell’aliquota dell’IRAP, a vantaggio del sistema delle imprese.
Un orientamento che, se assunto, troverebbe la nostra opposizione per due ordini di motivo, almeno in questa prima fase di applicazione del federalismo fiscale:
- in primo luogo, perché non si ravvisa la necessità di un ulteriore sgravio fiscale alle imprese, in presenza di una manovra di bilancio nazionale che già riconosce e sostiene significativamente il loro contributo allo sviluppo del paese ( deduzione dalla base imponibile dell’IRAP, credito d’imposta, riduzione dell’aliquota dell’IRPEG);
- in secondo luogo, perché trattandosi dell’imposta che costituisce la principale entrata propria delle Regioni, si trova a svolgere un ruolo primario nel finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale il cui fondo, dal 2001, viene abolito.
Una eventuale manovra di riduzione del gettito dell’IRAP, perciò, non può trascurare la necessità del mantenimento quali-quantitativo degli standard di assistenza sanitaria sul territorio regionale; né favorire surrettiziamente un’ipotesi di ‘sussidiarietà’ di disimpegno del pubblico nell’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Tale atteggiamento, lo dica per memoria, deve essere tenuto anche in sede di discussione dei bilanci locali, dove è necessario, trattandosi del livello istituzionale più vicino ai cittadini, che l’azione pubblica sia ispirata a criteri di trasparenza del prelievo, responsabilizzazione nella spesa e destinazione del gettito.
La nostra azione contrattuale deve essere volta a non aggravare la pressione fiscale sulle famiglie, sui lavoratori e pensionati, a promuovere progetti di riqualificazione urbana e di difesa della cittadinanza sociale.
Mi sembra doveroso l’intervento sull’ICI, a favore delle fasce di popolazione più deboli; sulle tariffe dei servizi sociali, riconducendo parte dei servizi a domanda individuale al trattamento dei servizi alla persona.
Da non dimenticare che molti Comuni hanno già introdotto l’addizionale IRPEF, o stanno per farlo per il prossimo anno.
Il nostro NO all’introduzione di un’addizionale per esigenze di cassa, che finirebbe oltretutto col gravare prevalentemente sui redditi da lavoro e da pensione, deve essere deciso.
Dobbiamo chiedere agli Enti Locali di essere trasparenti, mentre la destinazione dell’eventuale prelievo deve essere esplicito all’inizio del confronto sulla sessione di bilancio, per poter essere sostenuto come ulteriore leva nel finanziamento di progetti di interesse collettivo.
Ma tornando al federalismo fiscale, in corso di attuazione con l’approvazione del decreto legislativo n. 56 del febbraio 2000, dobbiamo considerare che sin dalla legge Finanziaria del 1996, sono stati attuati i primi importanti passaggi dai trasferimenti vincolati ai trasferimenti privi di destinazione definita centralmente.
La riforma prevedeva l’abolizione del Fondo comune e del Fondo nazionale dei trasporti e altri fondi minori, così come parte dei trasferimenti statali erano soppressi e sostituiti da un’accisa sulla benzina.
I vincoli di destinazione permanevano in pratica soltanto per il Fondo Sanitario Nazionale e per le risorse destinate all’agricoltura.
I recenti provvedimenti sul federalismo fiscale introdotti con il collegato fiscale del 1999 e con il decreto 56/2000 proseguono questo processo di trasferimento di responsabilità di prelievo e di spesa delle Regioni. Insieme all’abolizione dei trasferimenti erariali alle regioni a statuto ordinario la riforma federalista prevede un aumento dell’addizionale – compartecipazione IRPEF dallo 0,5 allo 0,9% e l’aumento dell’accisa sulla benzina da 242 a 250 lire al litro.
È prevista la compartecipazione all’IVA nella misura del 25,7% del gettito complessivo ma queste risorse non attengono alle regioni dove il gettito è prodotto ma ha finalità perequative fra le aree territoriali. Se la compartecipazione all’IVA non dovesse bastare per la perequazione il decreto 56/2000 prevede il ricorso alle risorse derivanti dall’accisa sulla benzina.
Le risorse delle regioni che hanno nel sistema economico locale sia la produzione del gettito che la sua destinazione derivano dall’IRAP e dall’addizionale IRPEF, trasformata in compartecipazione nel 1999.
Percorso storico.
Data l’importanza di questa componente delle risorse a disposizione delle regioni può essere utile ripercorrere brevemente il percorso legislativo che riguarda l’addizionale IRPEF regionale.
L’addizionale viene istituita con il decreto legislativo 446 del 1997 con un’aliquota compresa fra lo 0,5 e l’1% dell’imponibile IRPEF. Le regioni devono fissare l’aliquota con un proprio provvedimento da pubblicare in Gazzetta Ufficiale entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello a cui si riferisce l’addizionale. Per gli anni 1998 e 1999 lo stesso decreto 446/97 fissava l’aliquota dell’addizionale nello 0,5%. Trasformando, di fatto, l’addizionale in una compartecipazione (tecnicamente definita come riserva d’aliquota sulla base imponibile) alle aliquote nazionali che erano ridotte in maniera corrispondente dello 0,5% e con corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali. Con il successivo decreto legislativo 506 del 1999 era perfezionata la trasformazione dell’addizionale in compartecipazione ma solo nella misura dello 0,5%. Allo stesso tempo, infatti, il decreto 506/99 attribuiva alle regioni la possibilità di accrescere l’aliquota di compartecipazione di un ulteriore 0,5%. Poiché la maggiorazione non verrebbe compensata da una riduzione delle aliquote erariali, per le regioni che applicassero l’aliquota dell’1% il gettito derivante dall’imposizione sui redditi delle persone fisiche avrebbe un carattere misto: per metà derivante da una compartecipazione al gettito erariale e per metà frutto di una vera e propria addizionale decisa autonomamente. Non risulta che alcuna Regione abbia fatto ricorso a questa forma d’imposizione.
Con le disposizioni in materia di federalismo fiscale contenute nel decreto legislativo n.56 del febbraio 2000 le aliquote della compartecipazione – addizionale IRPEF sono state elevate rispettivamente allo 0,9 e all’1,4%. Allo stesso tempo le aliquote IRPEF nazionali sono state ridotte di 0,4 punti percentuali, ossia della quota d’aumento della compartecipazione delle Regioni al gettito IRPEF. L’aumento della quota di compartecipazione delle Regioni al gettito nazionale dell’IRPEF fino allo 0,9%, avverrà dal 2001, contestualmente alla riduzione dello 0,4% delle aliquote nazionali dell’IRPEF, lasciando immodificata, nella generalità dei casi, la pressione fiscale per l’anno 2000. Il prelievo aggiuntivo dello 0,4% avverrà, infatti, nel mese successivo a quello del conguaglio, all’inizio in altre parole dell’anno 2001 (il mese varia a seconda che si tratti di lavoratori dipendenti privati, pubblici o pensionati). Solo nel caso di cessazione del rapporto di lavoro (o di decesso) nell’anno 2000, lo 0,4% viene recuperato al momento del conguaglio senza, pare, restituzione; in questo caso, però, l’aumento di pressione fiscale derivante per l’anno in corso, si risolverebbe solo in una riduzione del beneficio derivante dal ‘bonus fiscale’ delle 350 mila lire (si ricorda, inoltre, che entro la quota di esenzione – oggi salita a 12 milioni di lire – non è dovuto il pagamento dell’addizionale regionale).
Le risorse derivanti alle regioni dalla compartecipazione IRPEF nel 1999 sono pari a circa 4.500 miliardi di lire.
Con il decreto legislativo n. 56/2000 sono previste nuove norme sull’attribuzione dell’IRAP alle regioni. In particolare vengono considerate risorse proprie delle regioni l’intero gettito IRAP anziché il 90% come previsto dal decreto legislativo 446/97 che ha istituito quest’imposta. Lo stesso decreto 56/2000 prevede l’istituzione di un fondo di garanzia per compensare le regioni delle eventuali minori entrate rispetto alle previsioni di gettito dell’addizionale IRPEF (commisurata però all’aliquota dello 0,5%) e dell’IRAP. Si tratta di un provvedimento che essenzialmente ha lo scopo di assicurare la copertura alla spesa sanitaria in quanto addizionale IRPEF e IRAP vengono considerate quale dotazione del Fondo Sanitario nazionale di parte corrente per 2001.